RIPARTIRE: ricominciare, ma anche suddividere diversamente
Ripartire. Deve diventare il motto, la bandiera, di questa fase della nostra vita: personale e professionale. Sì, perché, nonostante la diversa situazione, età, condizione ed esperienze di ciascuno di noi, per la maggior parte di noi – anziani, adulti, bambini – ci sarà un prima e un dopo il Covid-19. E, appunto, dopo – quale che sia stato il danno, o magari il crollo, subìto – bisogna ripartire. In tutto questo sarà legittima, e anzi utile, necessaria, una rinnovata voglia di vivere, di godere, di arricchirsi e di arricchire anche, non solo monetariamente. Ma, speriamo, avendo imparato la lezione. Su basi diverse, rispetto a prima. Perché ripartire – sono l’etimologia e i significati della parola ad insegnarcelo – significa ricominciare, iniziare di nuovo. Ma significa anche fare le parti, suddividere, dividere tra di noi, in maniera diversa da come si è fatto fino ad oggi; con meno diseguaglianze, per esempio, diverse gerarchie di valori e scale di priorità. Non solo. Una partenza è anche una partita, cioè una sfida, una competizione. E trarre partito da una situazione significa trarre vantaggio, cioè imparare una lezione. E non è mai facile imparare da una sconfitta, anche se sono gli insegnamenti che lasciano il segno.
Qualcuno attiverà le proprie capacità di resilienza – qualità rara, in circostanze normali, ma imprescindibile in condizioni eccezionali – innovando e conquistando nuove quote di mercato. Altri invece saranno colpiti, ma in maniera differenziata, ed è bene cominciare a rifletterci da subito. Anche perché non sarà solo per capacità o incapacità individuale, ma per la semplice appartenenza a un settore più o meno colpito, che è questione anche di (s)fortuna. E rimarranno sul campo molti sconfitti: i morti o feriti di questa strage economica e sociale che colpirà alla cieca, lasciando molte vittime, per lo più incolpevoli, sul terreno. Chi le aiuterà?
Le differenze tra garantiti e non garantiti peseranno ancora più che in passato. In certi àmbiti sarà macelleria sociale: forse, vedendo le cose con un po’ di darwinismo economico, sarà anche un utile sfoltimento – l’esplosione di un processo già latente, forse necessario, ma brutale e imprevisto anziché graduale.
Per affrontare questo e i futuri virus potrebbe essere necessaria una specie di socialità, e dunque di economia, intermittente, a fasi alterne, di apertura e di chiusura. Dovremo quindi abituarci, forse, a periodi di quella che alcuni già chiamano la shut-in economy, l’economia chiusa dentro, ripiegata su di sé, capace di inspirare ed espirare continuamente.
Cambierà il modo di lavorare, di comprare e di vendere, di gestire le grandi burocrazie, di socializzare, di educare, di curarsi, di punire, di fare arte e cultura e di fruirla, di praticare e di seguire sport, ma anche di lasciarsi andare, di divertirsi, di distrarsi, e persino di deviare, di delinquere. Cambieranno le forme del controllo sociale – diventando molto più pervasive e invasive (col nostro consenso: per consentirci l’accesso a benefici e servizi o luoghi specifici) – e quelle dell’esercizio del potere. A tutto ciò corrisponderà una distruzione creatrice di vecchi lavori, e valori, che lasceranno il posto ai nuovi – ma il periodo di riconversione non sarà indolore.
Come dopo una guerra – metafora usata e abusata alla grande e malamente in questo periodo – c’è, ci sarà, da ricostruire. Ma chi esce da una guerra vede le macerie davanti a sé, e ha bisogno di sgombrare il campo da esse, per poter ricostruire. Ha dunque delle priorità immediate da seguire. Per noi sarà più difficile, perché le nostre macerie non sono così immediatamente visibili e ingombranti. Sono sottili, virtuali, rischiano per molti di essere impercepibili. E questo non ci aiuterà, nel maturare consapevolezza delle nuove priorità: occorrerà visione, consapevolezza, limpidezza di sguardo. Virtù da classe dirigente cui non siamo abituati. E che non matureranno da sole.
Finalmente ripartire: distruzione creatrice di vecchi lavori e valori, in “Corriere della sera – Corriere Imprese Nordest”, 27 aprile 2020, rubrica ‘Le parole del Nordest’, p. 3