L’Italia al voto: l’anomalia veneta

“Le città premiano il centrosinistra”. “Veneto fortino di Lega e centrodestra”. Sono questi, rispettivamente, i titoli post-elettorali del Corriere della sera, edizione nazionale, e del Corriere del Veneto. E fotografano perfettamente l’anomalia veneta, o la sua diversità strutturale, non contingente, non episodica.

La regione resta in linea rispetto alle tendenze nazionali solo con la sostanziale sparizione del M5S: con la differenza che in Veneto non aveva mai veramente attecchito, e la sua breve fiammata stagionale, con i suoi fasti e i suoi sindaci, è stata in ogni caso molto meno intensa che altrove. Anche i dati sulla partecipazione al voto sono in linea con il dato nazionale: un po’ più alta che altrove, ma pur sempre in calo.

Senza sorprese, vince nettamente la Lega, in qualche caso con percentuali da emirato, o se si vuole da plebiscito: ma questa è quasi una non notizia, visto che la Lega in Veneto governa da quando esiste, indifferente alle sue stesse trasformazioni interne. Cresce anche Fratelli d’Italia, il che fa prospettare al Veneto una concorrenza molto più forte che in passato nel campo del centro-destra, per ora comunque più unito che a livello nazionale, dove l’ossessiva corsa per la leadership tra Salvini e Meloni ha prodotto, anche nella scelta delle candidature, più veti incrociati che obiettivi comuni: la differenza, naturalmente, sta nel fatto che qui in Veneto i due partiti governano insieme, a livello regionale e in moltissimi comuni, mentre a livello nazionale stanno l’uno al governo (per ora) e l’altro all’opposizione. Al limite, si potrebbe prefigurare un derby tutto interno alla coalizione in alcune delle prossime tornate elettorali comunali (a partire già dal prossimo anno): mentre è difficile immaginare scenari simili a livello regionale (scadenza peraltro lontana) dato che è così facile e comodo vincere e continuare a governare insieme.

Nell’altro campo ci si leccano le ferite. L’illusione del segretario del PD Letta (“siamo tornati in sintonia con il paese”) in Veneto ha ricevuto una secca smentita. Il Partito Democratico ha perso praticamente dappertutto: persino dove era stato sindaco il proprio segretario regionale, che pure ha avuto una buona affermazione personale. E comincia a sentire una discreta sindrome da accerchiamento anche laddove governa, ma si andrà ad elezioni a breve, come a Padova: niente è più garantito, neanche quella che fino a ieri poteva sembrare la facile rielezione di un sindaco uscente.

A livello nazionale la novità per ovvie ragioni più visibile, trattandosi della capitale, è stata l’operazione tentata da Carlo Calenda a Roma: uscita sconfitta nel suo obiettivo primario (arrivare al ballottaggio per conquistare il Campidoglio), ma vincente nel far diventare la sua lista civica di sostegno il primo partito a Roma, lanciando il segnale forte dell’esistenza di un’area liberale pragmatica e moderata, capace di pescare sia da destra che da sinistra, più interessata a programmi e competenze che a ideologie e schieramenti, non rappresentata dai partiti tradizionali, né di destra né di sinistra. In Veneto in realtà il civismo è già diffuso, e in buona parte già fagocitato da liste governiste e sostanzialmente ‘zaiane’: ma dato il personale successo di preferenze di Calenda alle elezioni europee proprio nel collegio Nordest, qualche carta si potrebbe rimescolare all’interno di questo mondo, con riflessi possibili sulla politica locale, meno probabilmente su quella regionale.

Detto questo, lo scenario che emerge da questa tornata elettorale – ancora una volta – è quello di una diversità, verrebbe da dire una insularità sostanziale del Veneto rispetto al panorama nazionale. Un mondo a sé, a parte, lontano, incompreso da chi sta altrove, che vive con regole e su presupposti propri, e tendenze politiche non collegate o in sintonia con quelle nazionali. In sé, non è né un vantaggio né uno svantaggio. Accade da anni, ed è stato sia un punto di forza che un elemento di debolezza, a seconda dei fenomeni a cui guardiamo (e dei governi succedutisi a livello nazionale). Che diventi l’uno o l’altro in futuro dipenderà dalla capacità – culturale prima che politica, e che riguarda gli attori economici e sociali prima ancora che i partiti – di restare in sintonia con le grandi tendenze nazionali, incarnate in questo momento dalle scelte del governo Draghi. Che quest’ultimo sia sostenuto da una maggioranza dalla configurazione completamente diversa diventa a questo punto incidentale. Come giusto che sia.

 

L’anomalia veneta alle urne, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 7 ottobre 2021, editoriale, p.1