Le due Leghe

All’assemblea di Confindustria Vicenza il presidente Zaia ha ammesso, con più chiarezza che in passato, l’esistenza di due componenti diverse nella Lega, “che possono coesistere”, pur specificando che alla fine la Lega è una sola. La cosa è evidente da tempo, ma è importante che tale constatazione venga da chi ne incarna una delle due – l’ala governista e moderata – ma ha sempre evitato accuratamente ogni polemica interna o accenno di contrapposizione.

Non c’è niente di strano né tanto meno di scandaloso: in ogni partito ci sono linee diverse, posizioni contrapposte, e questo è il sale della politica e della democrazia interna – serve, anzi, a far maturare il dibattito, a evolvere. Solo che di solito le posizioni diverse si incarnano anche in leadership esplicitamente contrapposte: si pensi allo storico dualismo tra Renzi e Bersani nel PD. E questo invece nella Lega è sempre stato un tabù: formalmente doveva prevalere l’unità intorno al capo, anche quando si è passati dalla Lega nordista di Bossi a quella sovranista di Salvini, attraverso l’intermezzo di Maroni.

C’è però un limite alla diversità tollerabile: che il dibattito tra posizioni diverse non diventi ambiguità, e l’ambiguità doppiezza. Limite oltre il quale nei partiti ci sono le scissioni, o un livello di ipocrisia tale che diventa indigesto anche per l’elettore minimamente informato.

Il rischio nella Lega di questi ultimi anni c’è stato. Da un lato il consenso ottenuto con la pancia, gli slogan divisivi, i capri espiatori, l’esposizione mediatica eccessiva e dai toni spesso grevi (esemplificata dalla ‘Bestia’ creata da Morisi di cui si parla in questi giorni per altri non commendevoli motivi, peraltro legati al problema politico di predicare in un modo e razzolare in un altro), dall’altro la fiducia spesa nella Lega di governo, moderata, più incline all’essere che all’apparire, che tesse rapporti proficui con il territorio e i corpi intermedi anziché lacerare il tessuto sociale. Un conto è il gioco delle parti, la dinamica “poliziotto buono, poliziotto cattivo”, che può essere una tattica di successo: un altro tenere insieme obiettivi inconciliabili e linguaggi incompatibili facendone una strategia comunicativa. Prima o poi la corda si spezza. Non si possono tenere insieme troppo a lungo i comunisti padani (di cui, ai tempi di Bossi, il giovane Salvini era il leader) e i pasdaran dell’estremismo sovranista, i no euro e i sì Europa, i no vax e i ceti dei produttori. Un minimo di coerenza tra dichiarato e perseguito va mantenuto: come diceva Gandhi (e lo prendiamo qui come un esercizio di metodologia politica, non come un auspicio morale), “il fine sta nei mezzi come l’albero nel seme”. Alla lunga, se non c’è rapporto tra i due, tutto si sfalda.

Per questo è utile che si faccia chiarezza. E che proponga di farla, in particolare, chi incarna da molto tempo una delle due linee contrapposte, quella governista e pragmatica, appunto: capace di ragionare laicamente di Europa e di promuovere una campagna vaccinale efficace senza ambiguità, che comincia a pensare che la cittadinanza per i figli di immigrati nati in Italia sia una cosa positiva, e non vede contrasti tra affermazione identitaria e integrazione, magari promuovendole entrambe.

Il Veneto, per la sua storia politica recente, incarnata da Zaia, ma anche per essere stato la culla antica della Liga delle origini, potrebbe essere il laboratorio anche intellettuale oltreché politico di questa Lega. Il processo è già innescato: anche per il crescente fastidio dell’elettorato consapevole di fronte a una discrasia non più sostenibile. Servono ancora due cose, che cominciano appena a delinearsi: la volontà di teorizzarlo esplicitamente, e il coraggio personale di farne pratica e battaglia politica interna.

 

La Lega davanti a un bivio, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 1 ottobre 2021, editoriale, p.1