Femminicidi. Come e cosa c’entrano migrazioni, etnie, religioni, culture

Il ministro Nordio si è lasciato sfuggire una frase che è certamente nei pensieri di molti. Parlando di femminicidi, ha detto che il problema è legato soprattutto “a giovani adulti di etnie che non hanno la stessa nostra sensibilità nei confronti delle donne”. Alla luce delle notizie di cronaca degli ultimi giorni, ci sarebbe da ragionare sulla ‘nostra’ presunta sensibilità, visto che anche l’Istat certifica (dati del 2023, gli ultimi presenti sul sito dell’Istituto) che il 94,3% delle donne italiane sono vittime di italiani (quindi sono vittime di stranieri in una percentuale che è la metà del numero di stranieri presenti sul territorio), mentre semmai ci farebbe propendere per una maggiore violenza anche degli autoctoni il fatto che ‘solo’ il 43,8% delle donne straniere sia vittima di propri connazionali. Tra l’altro, parlando di omicidi in generale, le vittime sono cittadini italiani nel 74% dei casi, mentre per il 26% sono stranieri, pur essendo poco più di un decimo della popolazione: a testimonianza del fatto che, per quanto riguarda i reati di sangue, gli immigrati sono più una categoria a rischio che una categoria rischiosa. Il che mette in discussione anche l’affermazione di un altro ministro (quello della pubblica istruzione, Valditara), che – con grande tempismo e totale mancanza di stile e di pietas, in occasione della presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin, uccisa da un giovane autoctono – ci invitava a “non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da un’immigrazione illegale”. Se fosse vero, peraltro, sarebbe un reato legato a una condizione (quella appunto di irregolare, non quella di cittadino di un altro paese), e quindi il governo dovrebbe coerentemente impegnarsi a favorire le forme di regolarizzazione, anziché produrre irregolarità per via normativa, come invece accade.

In generale, circa la metà dei femminicidi sono commessi da partner o ex-partner, che si tratti di italiani o di stranieri: il che, purtroppo, ci fa vedere più le somiglianze che le differenze tra autoctoni e immigrati. La violenza nei confronti delle donne – tutte, quale che sia la loro nazionalità – è soprattutto domestica e relazionale: il luogo più pericoloso è casa propria, la persona potenzialmente più pericolosa il proprio compagno. Ed è qui il problema.

Poiché molti italiani dicono etnie ma alludono a religioni o pensano a culture considerate primitive, aggiungiamo che persino tra i femminicidi di stranieri, molti sono commessi da europei, ad esempio dell’Est, e quindi di cultura e religione cristiana. Non abbiamo alcuna evidenza statistica che, poniamo, gli africani commettano più femminicidi e più violenza sulle donne. E lo stesso, controdeduttivamente rispetto a un’opinione diffusa, vale per i musulmani.

Non solo. Queste interpretazioni vagamente culturaliste non tengono conto del fatto che la cultura non è una cosa fissa, e non si trasmette con il sangue: cambia, attraverso l’interazione e l’interrelazione, e dunque con il tempo. Già con le prime generazioni, e ancor più con le seconde, socializzate e scolarizzate qui. Così come cambia nelle situazioni di amicizie e coppie miste, che crescono prepotentemente di numero. Altrimenti non si spiegherebbe come una propensione culturale profondissima come quella alla fertilità, faccia passare – spesso in una sola generazione – da un numero di figli molto elevato a un sostanziale adeguamento a quello del paese in cui si vive.

I problemi veri, riguardo alla condizione femminile nelle comunità immigrate, semmai sono altri: come gli ostacoli alla parità di diritti, o all’ingresso nel mondo del lavoro, vincolando la donna al ruolo di moglie e madre. Un ideale, peraltro, condiviso anche dai difensori autoctoni della famiglia tradizionale, spesso cattolici. O problemi più specifici, come i matrimoni precoci o forzati (problemi non solo dei musulmani, ma delle culture tradizionali, che riguardano anche hindu e sikh e altri ancora), i rimpatri di ragazze e la conseguente interruzione del percorso di istruzione al sopravvenire della maturità sessuale, o il porto del niqab (il velo che copre anche il volto): problemi reali, ma che possono essere affrontati solo sul piano culturale e, come accade in molti paesi europei, in collaborazione (non in contrapposizione) con l’associazionismo anche religioso degli immigrati. La risposta, come sempre, è l’integrazione, la cultura, lo scambio, la mixité. E, per tutti, italiani e stranieri, l’educazione all’affettività e alla sessualità. Proprio quella che alcuni autoctoni, spesso con motivazioni religiose, rifiutano di introdurre nella scuola.

 

Chi uccide le donne? I veri dati, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 9 aprile 2025, editoriale, pp. 1-7