Razzista è il pensiero, non il Dna

Razzista è il pensiero, non il Dna

6 agosto 2013
Un paese incredibilmente provinciale. Il razzismo non è circoscritto a destra o a sinistra, a vecchi o giovani, alla campagna o alla città: è presente ovunque. Gli stranieri vengono trattati come alieni, se non nemici.
Così parla dell’Italia su un blog del Guardian Tobias Jones, autore del libro The Dark Heart of Italy, quando Cecile Kyenge ministro per l’Integrazione dell’attuale governo Letta veniva offesa da parte di alcuni esponenti politici italiani. La testata britannica non è stata l’unica a seguire i fatti e a interpretarli. Dall’Huffington Post, a Le Monde alla Bbc. Alcuni spiegavano l’accaduto con una minor consuetudine del nostro Paese al fenomeno dell’immigrazione, a differenza di stati come Francia, Germania o Gran Bretagna. O ancora parlavano di legittimazione da parte di alcune frange politiche di atteggiamenti xenofobi. Altri  facevano riferimento all’”eredità” fascista.
Un passato innegabilmente ingombrante il nostro che ha visto, a partire dal 1938 fino al 1943, tra gli strumenti di propaganda politica la pubblicazione di una rivista come La difesa della razza, pensata per indottrinare la popolazione sulla questione razziale in chiave antisemita. Una questione, quella della razza, su cui si discuteva da tempo e non solo in Italia (si pensi al Saggio sull’ineguaglianza delle razze umana di Joseph Arthur Gobineau composto alla metà del XIX secolo). Sempre nel 1938 veniva sottoscritto il Manifesto degli scienziati razzisti. Gli intellettuali allineati al regime orientavano le masse al concetto di pura razza ariana. Gli scienziati ne fornivano le prove. “Le razze umane esistono. L’esistenza delle razze umane non è già una astrazione del nostro spirito, ma corrisponde a una realtà fenomenica, materiale, percepibile con i nostri sensi”. Cominciava così il Manifesto. A 75 anni di distanza, dopo una guerra, la dichiarazione universale dei diritti umani e gli interventi dell’Unesco, la genetica fornisce nuovi strumenti di valutazione.
“Dal punto di vista scientifico – spiega Guido Barbujani, docente di genetica all’università di Ferrara e autore di opere come L’invenzione delle razze. Capire la biodiversità (Bompiani 2006) e Sono razzista ma sto cercando di smettere (Laterza 2008) – oggi possiamo affermare che le razze umane non esistono. Le razze esistono solo nella nostra testa, sono frutto di una nostra creazione mentale”. Il tentativo di catalogare le razze è iniziato molto tempo fa, ma da allora fino agli Sessanta del Novecento non è mai stato raggiunto un risultato univoco, segno che anche tra gli esperti non esisteva unanimità di pensiero.
Si parla di razza di fronte a popolazioni (animali) geneticamente distinte, poco mobili e con stabili separazioni geografiche interne, tali da poter parlare di isolamento riproduttivo. La specie umana (Homo sapiens) è invece giovane dal punto di vista evolutivo, molto mobile e promiscua. “Lo studio del Dna – continua Barbujani – ci ha consentito di stabilire che la differenza genetica media è maggiore all’interno di una stessa popolazione, con una percentuale dell’85%, rispetto a popolazioni differenti in cui è pari al 15%”. Siamo tutti discendenti da un piccolo gruppo di antenati vissuti in Africa, che si sono poi spostati in altri continenti: le differenze nel colore della pelle e dei capelli altro non sono che l’adattamento alle circostanze climatiche e ambientali.  Sotto la pelle il grado di cuginanza di tutti gli esseri umani è altissimo, si legge in Homo sapiens, catalogo dell’omonima mostra curato da Telmo Pievani e Luigi Cavalli Sforza.
Eppure è in nome della “razza”, termine che sopravvive anche in costituzioni come quella italiana (articolo 3) e francese, che maturano attacchi violenti da parte di rappresentanti istituzionali chiamati a garantire l’uguaglianza tra i cittadini. Il concetto secondo cui la razza non esiste, accolto ormai da tempo in biologia, stenta a far breccia nell’opinione comune.
“Ritengo che quanto è accaduto in Italia nelle ultime settimane  – osserva Barbujani – non sia legato in realtà a una percezione precisa del concetto di razza dal punto di vista scientifico, ma sia piuttosto dovuto all’intolleranza del diverso, visto come una minaccia”.
Concetto su cui si esprime anche Stefano Allievi, sociologo del dipartimento di filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata dell’università di Padova: “Nonostante le conseguenze che ne derivano le razze, intese come percezione della diversità dell’altro, esistono. E la diversità è immediatamente evidente dalle apparenze, dal colore della pelle o dei capelli”. La percezione della diversità, continua, è ben viva fin dagli albori dell’umanità, si è trasmessa nel linguaggio e lo dimostra anche la religione nella misura in cui definisce gli altri infedeli. “La percezione conta – sottolinea Allievi – noi viviamo di pre-giudizi e pre-concetti, nel senso letterale di significati dati a monte, che servono a semplificarci la vita. Il problema non è tanto la percezione delle differenze, che in realtà è sana. Il problema sorge quando questa percezione traduce la diversità in specificità di tipo caratteriale o morale, in inferiorità o superiorità”. Allievi cita Imbarazzismi un libro di Kossi Komla-Ebri e un episodio. Un bambino vede una persona nera e lo fa notare alla madre che reagisce con imbarazzo. Un atteggiamento, diverso da quello del bambino, che denuncia una interiorizzazione del concetto di inferiorità storicamente attribuita a questa popolazione.  Senza contare che la razza, intesa dunque non come categoria biologica ma come rilievo dato all’apparenza, negli esiti conta: a parità di risultati, in una popolazione bianca avrà più possibilità di carriera un bianco che un nero.
La questione della razza solleva considerazioni di ordine scientifico e sociologico, non sempre sovrapponibili e conclusive. Non si deve trascurare che il rispetto della persona e della diversità sono prima di tutto valori. Non il prodotto della civiltà, ma un suo prerequisito irrinunciabile.
Monica Panetto
http://www.unipd.it/ilbo/content/razzista-e-il-pensiero-non-il-dna
“Il BO”, agosto 2013