Il mondo senza morte

Senza morte (Rubrica “Il mondo se”)

6 dicembre 2018

di Stefano Allievi. Professore di Sociologia presso l’Università degli studi di Padova.

E se non morissimo più? Alcuni scienziati ne sono sicuri: l’uomo che non morirà è già nato. La morte, dunque, diventa un nemico che si può sconfiggere. E in fretta, anche…

La speranza di vita, in Italia, ha superato gli 85 anni per le donne e gli 80 per gli uomini. L’età della morte si alza oltretutto con una velocità notevole: ogni 10 anni guadagniamo all’incirca 2 anni di vita, e il processo sta accelerando.

In un secolo si tratta di un guadagno di 25-30 anni, abbondanti. Un’enormità, se pensiamo che ancora nella prima metà dell’Ottocento in Piemonte solo il 5-6% della popolazione arrivava a superare i sessant’anni. Per non parlare del Medio Evo: nel 1200-1300, prima ancora delle grandi pestilenze, la speranza media di vita in Europa era intorno ai 30-35 anni a seconda dei paesi, e il 40-50% della popolazione non raggiungeva i vent’anni. Un altro mondo, non c’è dubbio.

Una indiscutibile novità storica, senza alcun precedente con cui confrontarsi, che implica la prevalenza numerica degli anziani: una rivoluzione – non solo demografica, peraltro, se appena cerchiamo di ragionare su quale tipo di società si va delineando.

Un ruolo importante ce l’hanno le tecnologie, naturalmente. Solo nel caso degli Stati Uniti è stato calcolato che la semplice introduzione degli apparecchi per la defibrillazione e la respirazione assistita – preistoria, rispetto ai progressi di oggi – abbia fatto diminuire (o meglio, appunto, posporre) le morti per arresto cardiaco del venti per cento. Il che significa venti persone su cento che, letteralmente, dopo essere “morte”, come sarebbe accaduto prima dell’invenzione di queste tecnologie, sono state riportate in vita – uno dei motivi, incidentalmente, per cui si è dovuto introdurre il criterio di “morte cerebrale”, di cui prima degli anni ’50 non ci sarebbe stato bisogno.

E ormai sappiamo che, attaccato a una macchina, un corpo morto può essere tenuto in vita indefinitamente: senza fine, cioè. L’idea del cyborg si invera nei pazienti in stato vegetativo. Da qui, i nuovi dilemmi della bioetica.

«Incerta omnia. Sola mors certa», diceva Agostino. Beh, forse non è più vero.

Forse stiamo davvero diventando una “società amortale”, come preconizzava Edgar Morin più di mezzo secolo fa. Solo che lui si riferiva al fatto che viviamo senza pensare alla morte, come se fossimo eterni. Invece immortali, o quasi, lo stiamo diventando proprio “tecnicamente”.

Certo, anche di fronte alla morte, non siamo tutti uguali. ’A livella, come la chiamava Totò, in realtà non livella alcunché: le diseguaglianze permangono, e anzi si rendono più evidenti. La diseguaglianza più grande e radicale, e la più evidente delle ingiustizie, anche se è stranamente meno percepita di altre, è infatti quella relativa alle differenze nelle aspettative di vita: la “mortalità differenziale”.

Nella Londra del 1830, nelle élite l’età media al decesso era di 43 anni, ma di 25 tra artigiani e impiegati, e di 22 tra gli operai. In misura meno netta, è vero anche oggi, in Italia. Non ci si pensa abbastanza: ma dal peso alla nascita alla probabilità di morire per incidente sul lavoro, le differenze di censo incidono dall’inizio. Per non parlare degli effetti delle condizioni di vita (reddito, cibo, abitazione) sulla mortalità nelle varie classi sociali, o della disponibilità e accessibilità di cure mediche e ospedaliere e della loro diversa efficienza nelle varie aree del mondo.

I nuovi scenari sono tutti basati su una differenziazione che non è demodé definire “di classe”: solo, più radicale ancora. Chi se lo può permettere, vivrà più a lungo degli altri, e forse indefinitamente. Gli altri, no. O, magari, come preconizza certa fantascienza, faranno da pezzi di ricambio per i primi. Cambiando radicalmente le nostre società. E le teologie…

Lo ipotizzava già l’illuminista Condorcet: «Sarebbe assurdo, oggi, supporre che debba arrivare un momento in cui la morte non sarà più che l’effetto, o di accidenti straordinari, o della distruzione sempre più lenta delle forze vitali, e che infine la durata dell’intervallo medio tra la nascita e questa distruzione non abbia più alcun termine assegnabile?».

Ecco, l’epoca dell’antidestino, come la chiama Remo Bodei, è iniziata. Non sappiamo dove ci porterà. Ma è utile, almeno, averne contezza.

[pubblicato su Confronti 12/2018]