Amici e nemici di papa Francesco
In soli sei mesi Papa Francesco ha rivoluzionato l’immagine di una Chiesa che negli ultimi tempi era parsa ripiegata su se stessa, sulla difensiva, in costante condanna di nemici teologici e culturali (il relativismo, la secolarizzazione), soffocata dagli scandali (dalla pedofilia a quelli economici): poco ascoltata al di fuori, priva di vitalità all’interno. Lo ha fatto con il proprio stile, in primo luogo, e con una forte pedagogia dei simboli. Facendo capire che servono per sintetizzare un messaggio, non per ostentare un’appartenenza. Da qui il nome che si è scelto, innanzitutto, la croce semplice, il vestito bianco, le scarpe grosse, il cerimoniale rivoluzionato. Ma anche i gesti ordinari, simbolici anch’essi, del guidare la macchina, prendere l’autobus, pagare il conto, portarsi la valigetta per il viaggio, rifiutarsi di vivere negli appartamenti papali. Fino alle grandi innovazioni comunicative: lo stile colloquiale e diretto, l’accessibilità facile (ai giornalisti e ai comuni credenti), la risposta schietta e priva di diplomatici no comment, le ormai celebri telefonate, fino alla lettera a Repubblica.
Lo stile tuttavia è sostanza, e i gesti non sono solo simbolici, ma diventano cose: elaborazione teologica silenziosa (dalle parole di rispetto per le altre religioni, alla diffidenza per la messa in latino e i barocchismi liturgici, fino al rivolgersi ai laici, che delineano una teologia del dialogo, della sobrietà, della relazione) e pratica di governo dell’istituzione. Citiamo random alcune scelte. Le nomine allo Ior (lasciando intendere che il Vaticano, dopo tutto, non ha bisogno di una banca); la rimozione del cardinal Bertone (che non è un banale avvicendamento, ma un giudizio implicito su un modo di pensare e gestire la Chiesa); la chiarezza delle parole e la severità nei confronti della curia vaticana e dei suoi vizi, di cui parla senza timore; il discorso – durissimo – ai vescovi italiani (di cui ha attaccato “la prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con lo spirito del mondo”); l’invito a trasformare i conventi vuoti in case di accoglienza per i marginali del mondo invece che in alberghi (che è anch’esso un giudizio sulla chiesa del potere e del denaro, delle esenzioni e dei privilegi, a confronto con quella del servizio e della gratuità). Tutto e sempre a modo suo, sorridendo, nel solco di una antica tradizione gesuitica, che ha per motto: “Fortiter in re, suaviter in modo” (energicamente nella sostanza, dolcemente nei modi).
Non stupisce che papa Francesco affascini. Dentro la Chiesa, cui ha saputo ridare energia e protagonismo, voglia di essere e di fare anziché di contemplare la propria presunta unicità, capacità di mettersi in discussione anziché di elargire o imporre verità ad altri, di accettare gli interlocutori del mondo anziché sceglierseli, di entusiasmarsi anziché di difendersi, di raccontare i contenuti di cui è portatrice, invece di fuggire dal giudizio sui propri comportamenti scorretti. E fuori: da un mondo che si sente, per la prima volta da tanto, tempo, accettato, riconosciuto, non giudicato e, persino, amato.
Naturalmente questo gli crea anche dei nemici. Nel mondo laico più prevenuto, che teme sempre l’operazione strumentale, tattica, di facciata (ne è prova la polemica sullo stile, derubricato da alcuni a mera operazione mediatica). E in quello cattolico, dove si aprono dinamiche profonde: tanto che le critiche – sempre ovattate, come usa, ma nondimeno fortissime – si stanno già facendo sentire. Sono gli alfieri dell’identitarismo cattolico, soprattutto, a sentirsi colpiti, nella loro teologia ispiratrice e nella loro pastorale quotidiana: da certi movimenti ecclesiali a Radio Maria, dai siti tradizionalisti ai vaticanisti neocon, dai vescovi abituati ad ostentare il loro potere alle burocrazie vaticane abituate a frequentarlo da pari a pari, il potere. Si è aperto un conflitto silenzioso ma non meno aperto e duro: perché, con Francesco, si sono aperte, dall’alto e da dentro, le contraddizioni che finora erano vissute dolorosamente solo dal basso o denunciate polemicamente da fuori.
E’ una chiesa scritta con la minuscola quella che delinea Bergoglio: una chiesa aperta, popolare, disponibile, semplice, capace di parlare ma desiderosa di ascoltare. E’ una svolta, non un semplice cambiamento. Se si vuole, un ritorno alle origini. Che, come accaduto a Gesù (che neanche lui era stato ben accolto, nei suoi ambienti…), non poteva non suscitare le reazioni della Chiesa con la maiuscola, ricca, potente, abituata ad essere riverita anziché interrogata, più attenta alla rivendicazione delle radici (anche se tradite) che al manifestarsi dei frutti (anche se, per l’evangelo, “dai loro frutti li riconoscerete”). Quella che si sente proprietaria della verità, e in maniera esclusiva, anziché a suo servizio, con la modestia dei suoi limiti, e in compagnia dell’umanità, specie di quella sofferente.
Amici e nemici del papa rivoluzionario, in “Il Piccolo” Trieste, 16 settembre 2013, p.1
La rivoluzione di papa Francesco, in “Messaggero veneto”, 16 settembre 2013, p.1
Amici e nemici di papa Francesco, in “Gazzetta di Reggio”, 17 settembre 2013