Wojtyla-Ratzinger, icone opposte

A una settimana dalla beatificazione romana di Giovanni Paolo II, il suo successore, Benedetto XVI, viene in visita pastorale nel Nordest. La distanza apparente tra i due eventi non potrebbe essere maggiore, perché diversi, a dispetto della dichiarata continuità e dell’amicizia personale, sono i personaggi che ne sono al centro. Wojtyla era l’icona dell’apertura, dell’impronta ottimista e carica di entusiasmo giovanile: “Non abbiate paura: aprite le porte a Cristo” è stato il messaggio di apertura del suo pontificato. Quello di Ratzinger, se facciamo riferimento agli aspetti più appariscenti e mediatizzati della polemica nei confronti della scienza, del pluralismo culturale, spesso derubricato a mero relativismo etico, delle altre religioni, potrebbe essere sintetizzato con un: “Abbiate paura: chiudete le porte al mondo”, state tra di voi, contemplate le vostre virtù. Ma le cose sono più complesse di quello che sembrano.

Se i due pontefici sono diversi, è perché diversissima è l’epoca che li esprime e che riflettono. Agli albori del pontificato wojtyliano non solo la Chiesa, ma il mondo, e certamente l’Europa, erano in una fase di slancio, di apertura, che avrebbe portato di lì a poco alla caduta del blocco sovietico e a una nuova fase della storia mondiale. Agli albori dell’attuale pontificato tanto l’Europa quanto la Chiesa cattolica vivono una stagione ben diversa.

In questo, forse, l’immagine di papa Ratzinger è più rispondente al Nordest che oggi lo accoglie: assai diverso da quello che nel 1985 accolse papa Wojtyla. Attraversato da una mentalità da fortino assediato più che da armata conquistatrice. Più chiuso su se stesso e impaurito, lontano dall’entusiasmo innovatore e conquistatore di mercati, demograficamente invecchiato, culturalmente spento e nostalgicamente ripiegato sul proprio passato. Incattivito da un benessere appena conquistato e di cui ha già perso la certezza. Familista a parole, ma passato in una generazione dalla famiglia allargata al figlio unico, segno di una diminuita fiducia e speranza nel futuro. Avvilito da istituzioni incapaci, una politica senza slancio, e un degrado morale palpabile e diffuso. Infelice senza ribellione. E dove si è cattolici per forma e tradizione, un po’ meno per sostanza e convinzione. Come accade per il cattolicesimo più visibile e ostentato – a cominciare da quello politico, ma ben presente anche in altri ambiti – di chi fa a gara per dichiararsi paladino della chiesa, con grandi attestazioni pubbliche di cattolicità, spesso inversamente proporzionali alla fede, e senza alcun rapporto con la pratica religiosa, per non parlare dell’etica quotidiana e della deontologia professionale. Un cattolicesimo di pura etichetta, poco esigente sul piano morale e religioso, riducibile a pochi elementi identitari, familiari ma non invasivi, nostalgici ma innocui. Che, va detto, non rende giustizia alla fede di tanta gente del Nordest, di tanti suoi preti, di tanti suoi missionari, di tanti suoi volontari e volontarie, che crede e pratica in silenzio, senza ostentazioni, radicata in una tradizione vissuta e autenticamente popolare, la cui manifestazione è opera e offerta quotidiana.

Quest’ultimo cattolicesimo, silenzioso ma reale, vorrebbe oggi ascoltare da papa Ratzinger parole capaci di ridargli slancio e consapevolezza. E forse proprio questo papa – che all’attenzione ai problemi del mondo sembra privilegiare il ritorno all’essenzialità delle origini, di cui anche i suoi libri su Gesù sono una testimonianza – potrebbe dargli un po’ di nerbo e di fervore evangelico, aiutando il Nordest a ritrovare una spinta e un ruolo che non gli sono affatto estranei, che hanno caratterizzato altre stagioni della sua storia, ma che paiono lontani dal suo orizzonte presente. Se già solo si mostrasse in preghiera, e dicesse parole pesanti, frutto di meditazione e di studio – la cifra stilistica che del resto maggiormente gli appartiene – sarebbe un buon modo di ricordare che preghiera, meditazione e studio sono precondizioni di ogni opera che dia buoni frutti: e che dai frutti concreti di pace, di solidarietà e di giustizia, non dal richiamo verbale alle radici, si riconosce la vitalità dell’albero evangelico.

Stefano Allievi

20 Allievi S. (2011), Wojtyla-Ratzinger, icone opposte, in “Il Mattino”, 6 maggio 2011, p. XV (supplemento speciale “Benvenuto Benedetto”, anche su Nuova e Tribuna)

ANCHE in “Il Piccolo”, 7 maggio 2011, pp. 1-3