L’anima perduta dell’Occidente

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Occidente

1670481019-pota-1-142188di Stefano Allievi

Quando è successo, che l’Occidente ha smesso di essere quello che diceva e credeva di essere – l’avamposto della democrazia e dei diritti universali – generalizzando un regime di doppia verità, per cui ciò che vale per noi e al nostro interno (a cominciare dal rispetto del diritto alla vita e alla dignità della persona umana) non può e non deve valere per gli altri?

Dove è stato discusso e deciso, che tutto ciò che era un valore prima (solidarietà, apertura, libertà anche per gli altri e non solo per noi, umanità) oggi sia considerato una debolezza e un disvalore?

Come è successo, che abbiamo perso l’anima?

Ecco, non sappiamo quando, dove e come è successo, ma molti di noi, sempre più spesso, hanno netta la sensazione che sia successo.

Eravamo visti come la meta da raggiungere: e fisicamente, visto che continuiamo a essere più ricchi e sviluppati di altri, lo siamo ancora. Ma in passato dettavamo anche gli standard valoriali, o avevamo la presunzione di farlo. Oggi, da questo punto di vista, siamo sempre più lontani dal resto del mondo: un po’ perché gli altri non sono più sicuri che valga la pena essere come noi, e un po’ perché siamo noi ad allontanarci da noi stessi e a respingere gli altri.

Lo si vede bene sulle grandi questioni della geopolitica: dove sempre più spesso, anche all’assemblea generale delle Nazioni Unite, quasi tutto il resto del mondo (Africa, Asia, America Latina) vota in maniera diversa da noi (è la piccola Europa, con gli Stati Uniti, a essere isolata), e preferisce votare con Russia e Cina, pur non amandone il modello di sviluppo e non abbracciandone i valori.

95Siamo apertamente dileggiati per la nostra incoerenza, e non di rado disprezzati dal resto del mondo, isolati nella nostra antica e coloniale presunzione di centralità. Il nostro plateale doppio standard nei confronti di Israele ne è l’immagine più forte: basta immaginare una banale inversione di ruoli (con i palestinesi che fanno agli israeliani il dieci per cento di quanto gli israeliani hanno fatto ai palestinesi, e non da oggi), per cogliere la nostra evidente contraddizione – quanto ci saremmo indignati, e quanto prima avremmo agito, a parti invertite! Ma anche rispetto all’Ucraina, in fondo, ci preoccupiamo di più di programmare la sua futura ricostruzione, dopo tutto nel nostro interesse, che di evitare che venga distrutta.

Ma vale anche per le nostre questioni interne. Come lo sdoganamento di linguaggi civilmente e persino giuridicamente offensivi e apertamente ostili (anche qui: basta immaginarli a parti invertite), che ci erano almeno istituzionalmente estranei, a proposito di diversi, immigrati, musulmani, gay, transgender, o quale che sia il nemico di turno. E non si tratta solo degli Stati Uniti. Loro stanno tracciando la strada. Ma l’abbiamo imboccata, in parte, anche noi: non foss’altro perché assistiamo a questa mutazione senza stigmatizzarla, in pavido e complice silenzio.

Quando è successo che il nostro storico alleato si è trasformato, da faro e avamposto della nostra (e sottolineo: nostra) comune civiltà, a luogo da non frequentare e esempio da non seguire? Quando ha smesso di essere il fratello maggiore da imitare, quello avanti di vent’anni su quello che sarebbe stato anche il nostro futuro, per diventare il cugino imbarazzante da evitare, salvo giusto nelle ricorrenze familiari che ci obbligano a incontrarci, ma di cui tolleriamo e sostanzialmente appoggiamo le mattane, perché è grande e grosso e potrebbe farci del male?

tramonto-occidente-notteCome è stato possibile che la terra delle libertà e delle opportunità, da cui avevamo creduto di imparare la democrazia, e che la nostra libertà l’hanno difesa e ce l’hanno restituita pagando un pesante tributo di sangue, diventasse un luogo di un conformismo e di un servilismo istituzionale imbarazzante? Dove scene di individui armati, col viso nascosto dai passamontagna, che oltre e contro ogni regola innescano raid contro innocenti messi in carcere o deportati senza processo, diventassero immagini quotidiane e familiari nelle città, in fondo accettate nell’indifferenza dei più? Quando esattamente è diventato normale diminuire platealmente le tasse ai ricchi per aumentarle ai poveri? E, del resto, anche noi, quando esattamente abbiamo discusso e deciso di spendere il 5% del nostro prodotto interno lordo in armi (o almeno di dire che lo faremo), quando spendiamo il 4% in educazione e istruzione?

Non sappiamo dove è stato discusso. Sappiamo che tutto questo qualcuno l’ha deciso, e molti lo mettono in pratica. E ne pagheremo il prezzo, tutti noi. Con un progressivo e imprevedibile isolamento internazionale (certo: tanto continuiamo a essere i più ricchi – ma le cose, gli equilibri, stanno cambiando anche da questo punto di vista, e più rapidamente di quel che crediamo). Con una drammatica caduta reputazionale, di cui ancora non ci rendiamo conto. E con il disprezzo delle nostre stesse generazioni più giovani, quelle dei nostri figli e nipoti, che ci giudicheranno (hanno già cominciato a farlo) per quello che hanno visto, o meglio non hanno visto da parte nostra, dalla lotta (quasi abbandonata) contro il climate change al nostro continuo voltarci dall’altra parte a Gaza (e in Cisgiordania, peraltro, dove non ci sono nemmeno gli alibi che si pretendono validi altrove). 

Dialoghi Mediterranei, n. 75, settembre 2025
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Stefano Allievi, professore di Sociologia e direttore del Master in Religions, Politics and Global Society presso l’Università di Padova, si occupa di migrazioni in Europa e analisi del cambiamento culturale e del pluralismo religioso, con particolare attenzione alla presenza islamica. Tra i suoi libri Torneremo a percorrere le strade del mondo. Breve saggio sull’umanità in movimento (UTET 2021) e Il sesto continente. Le migrazioni tra natura e società, biodiversità e pluralismo culturale (con G. Bernardi e P. Vineis, Aboca Edizioni 2023). Per Laterza è autore di: Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione (con G. Dalla Zuanna, 2016); Immigrazione. Cambiare tutto (2018); 5 cose che tutti dovremmo sapere sull’immigrazione (e una da fare) (2018); La spirale del sottosviluppo. Perché (così) l’Italia non ha futuro (2020); Governare le migrazioni. Si deve, si può (2023), Diversità e convivenza. Le conseguenze culturali delle migrazioni (2025).