Che cosa sognamo di fare di questa città?

Siamo contenti che la polizia sia andata alla festa del PD: così scoppiano le contraddizioni. Non equivocate: siamo del tutto favorevoli alla festa del Partito Democratico (e a tutto ciò che produce socialità), e del tutto favorevoli alle iniziative musicali dei giovani al suo interno. Ma il PD è anche il partito che esprime l’amministrazione e il sindaco, cioè chi governa. E chi governa, fosse di destra o di sinistra, ha ascoltato troppo, in questi decenni, la Padova dormiente, chiusa in casa, diffidente: anche perché è quella che protesta di più. Senza ascoltare abbastanza l’altra Padova: quella che si incontra, che produce socialità e cultura, e anche, ma non solo, più giovane. Che, pure, vive al suo interno, e produce ricchezza su cui altri guadagnano: si pensi alla folla di studenti su cui campano più maturi commercianti e proprietari di case, e quindi famiglie, ma che hanno il diritto di esistere solo di giorno, poi, mi raccomando, che vadano a letto presto. Ora, queste due città hanno entrambe i loro bisogni e i loro diritti: ma la sensazione di qualunque studente fuori sede, come degli operatori culturali indigeni, per non parlare dei turisti di passaggio, e l’immagine di sé che la città rischia di dare, è quella di ascoltare, primariamente, una sola delle due. Qui basta la telefonata di uno, non sempre a ragione, per impedire la socialità di cento, e far intervenire vigili e polizia: che, se non è ancora mezzanotte, ascoltano, nemmeno misurano se c’è davvero uno sforamento di decibel perché non hanno le attrezzature adatte, e chiedono di abbassare il volume; e, a mezzanotte e un minuto, cominciano a comminare multe, senza deroghe.

Ora, chiariamoci: la vivibilità e il sonno dei cittadini devono essere tutelati. Ma non è ammissibile che una città chiuda sempre e comunque a mezzanotte, come se ci fosse il coprifuoco. Basta andare una volta sola in una qualunque città europea, ancor più se è città universitaria, ma anche in Italia, diciamo a sud del Po (e un po’ più a ovest), per vedere in piena notte, e almeno d’estate, una città viva, gente che si muove (e non solo giovani), e iniziative musicali e artistiche per strada. Qui no.

Ma stiamo attenti. La socialità produce vivibilità, ma pure sicurezza. Le zone più frequentate sono anche più frequentabili: sono i passi che rimbombano nel vuoto dietro di noi a mettere più paura. E soprattutto, l’alternativa è che i giovani (e meno giovani) se ne stiano ben sigillati nelle discoteche, nei pub, nei bowling e nei locali di slot machines, nell’interesse di chi li gestisce. E’ questo che vogliamo? Sicuri, e lo diciamo ai genitori, che questo produca una città e dei giovani migliori?

Allora forse, nell’interesse di tutti, è necessario aprire una franca discussione – magari una vera e propria convention, aperta a tutti – cercando di sentire il polso vero della città, non solo le lobbies che la rappresentano: residenti e commercianti, operatori culturali, associazionismo, studenti, istituzioni e università, parrocchie, organizzatori di sagre, musicisti e teatranti, ma anche giovani e famiglie, e magari qualche esperto che sappia cosa succede altrove, e come risolvono i problemi, che ci sono. E provare a immaginare una città diversa, ripensando i suoi luoghi di socialità e i suoi orari. Nell’interesse e a tutela di tutti: ma tutti davvero. Non è solo questa o quella iniziativa in gioco: c’è in ballo l’idea di città che abbiamo. Ne vogliamo parlare?

Stefano Allievi

Allievi S. (2011),Che cosa sognamo di fare di questa città? , in “Il Mattino”, 6 settembre 2011, p. 19