Maschilità malata: il gruppo Facebook “Mia moglie”
La storia del gruppo Facebook “Mia moglie”, in cui oltre trentamila uomini, tra cui molti veneti, commentavano reciprocamente le foto, spesso rubate (fatte di nascosto e diffuse senza consenso), di mogli, fidanzate e altre parenti, può darci qualche spunto di riflessione.
Sgombriamo il campo dal moralismo facile, dal prurito dello scandalo, dalla sindrome da ditino alzato, dall’afflato censorio un tanto al chilo. I social network si prestano a potenziare questa sgradevole propensione al bigottismo (esiste anche un bigottismo progressista), anche e soprattutto quando chi attacca si sente dalla parte dei buoni. Ma, come ricordava François de La Rochefoucauld in un’epoca libertina e moralista insieme (come forse è la nostra), “l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù”. Molte delle frasi e dei giudizi estetici (chiamiamoli educatamente così) espressi in quel gruppo, ora chiuso, sono stomachevoli, ma non troppo diversi (o la diversità è per così dire di grado, ma non di qualità: si colloca su un continuum, non da un’altra parte) da quello che si dice ordinariamente nei gruppi amicali, al tavolino di un bar davanti a uno spritz, o può capitare di ascoltare in una scuola durante l’intervallo, in un luogo di lavoro, o negli spogliatoi di una palestra – peraltro, non solo in quelli maschili, anche se in questi con enfasi certamente maggiore. Sono dunque il contenuto quotidiano di una cultura diffusa, che passa dai testi delle canzoni per arrivare al consumo compulsivo di pornografia. Questo lo giustifica? No, ma lo contestualizza. E mostra che il male non è solo lì dove lo si sta giudicando (sarebbe facile: troppo facile), ma da qualche parte molto più nel profondo.
Certo, i leoni da tastiera maschi e voyeuristi di quello e di altri gruppi non sono rappresentativi della maschilità come categoria. E quindi sono più facili da additare come reprobi. Ma la differenza è solo che lì, sui social, i messaggi sono scritti, e restano in memoria: mentre i commenti detti, come noto, si perdono nel vento – verba volant. Ma non troppo: qualcosa resta, e si accumula, si sedimenta, si solidifica, e costruisce. Costruisce cosa? Il tema non è tanto il tenore dei commenti. Ma l’istinto proprietario che mostrano: e che si manifesta innanzitutto con l’idea praticata (che peraltro è un reato) che l’immagine di lei, chiunque sia, è mia, me ne approprio senza chiedere il permesso, la rendo oggetto da commentare o peggio su cui sbavare, cosa e non persona, e quindi senza nemmeno il diritto al consenso. È solo un esempio, un primo livello, di quella maschilità che abbiamo imparato a chiamare tossica, e con molte ragioni: perché inquina la persona ma anche l’ambiente, e fa pagare il prezzo del proprio esistere a vittime innocenti. All’altro sesso in primo luogo, certo: umiliato in quanto spersonalizzato e cosificato. Ma anche a un ambiente culturale e sociale, largamente interclassista e variabilmente istruito, di cui contribuisce a creare le premesse e i fondamenti: e di cui finiscono per essere vittima anche i maschi che lo riproducono e lo fanno proprio. Che invece di essere capaci di godere di una emotività e di una sessualità liberate e soddisfacenti, liberano solo il peggio di sé, mostrando la povertà del proprio immaginario, più pornografico che erotico, e anche la standardizzazione quasi burocratica del proprio linguaggio, che dell’immaginario è la voce e lo specchio. Mostrando così una drammatica incapacità di vivere il sesso, e lo sguardo su di esso, senza pruderie e senza la pulizia della semplicità dello sguardo, anche di quello onestamente curioso. Tutto diventa oggettivazione e possesso, a cominciare dal nome del gruppo: “Mia moglie”.
Una considerazione aggiuntiva. Gran parte dei membri (e, sì, possiamo pure giocare con l’ambiguità del termine: questo sono e con questo ragionano) del gruppo sono regolarmente sposati e spesso padri di famiglia. E questo getta una luce rivelatrice su quello che è davvero – spesso (lo ricordiamo, non sono rappresentativi, ma un sintomo su cui riflettere) – la coppia coniugale eterosessuale monogamica e la famiglia nucleare. Non quel paradiso ideale, da presidiare a colpi di normative bigotte e escludenti nei confronti di altre forme di orientamento di genere e modelli di convivenza, che qualche difensore della famiglia tradizionale racconta. Più che un modello educativo da riprodurre e riproporre tale e quale, un modello a sua volta da educare, e da mettere in questione.
Quei ‘poveri’ uomini, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 22 agosto 2025, editoriale, pp. 1-5



