Lupi, e gli altri: le metamorfosi della compagnia
Ho studiato Scienze Politiche all'Università Cattolica di Milano. Li conoscevo tutti: Lupi, Simone, Vittadini, Amicone, Intiglietta... Coetanei o appena più grandi, e già leader. Splendide carriere troppo facili e garantite: perché gli amici chiamavano gli amici, e il primo che arrivava in un posto di potere (molto aiutato, peraltro: non lottando duramente per farsi spazio, ma, dopo i primissimi tempi fondativi ed eroici, chiamato ed anche esplicitamente corteggiato e favorito) chiamava gli altri (in un meccanismo dove il criterio di carriera era la fedeltà e l'amicizia, parola molto popolare in CL, e non il merito). Ecco, credo che uno dei problemi dei bravi ragazzi di CL sia stato proprio questo: un 'familismo amorale allargato' alla comunità, che partiva da buone intenzioni (e quindi difficile da criticare), iperprotettivo, di gente che si sposava all'interno della comunità e solo lì aveva frequentazioni e amici, che si dava sempre ragione reciprocamente, e che ha acquisito troppo presto ruoli e potere all'altezza delle loro ambizioni ma spesso al di sopra delle loro capacità (non farò nomi, ma un paio di quelli che ho citato, con ruoli importanti ma già incappati nelle cronache giudiziarie, e molti altri meno noti ma con posizioni importanti, erano bravi ragazzi, sì, ma non propriamente dei geni conclamati: nella media, diciamo così...- ricordo di avere assistito alla festeggiatissima laurea di uno di loro, in università: uno scrosciante applauso nei chiostri per un misero novanta e qualcosa, tirato via per togliersi il peso dello studio -- tanto, già allora, già così giovani, contava altro, e le strade aperte erano molte, da subito). E così si sono ritrovati in un gioco marcio, quasi senza accorgersene: che per paradosso (rispetto alle loro ispirazioni ideali), grazie al successo politico e alla commistione tra questo, gli ideali e gli affari (rappresentato al meglio, cioè al peggio, da Formigoni, fratello maggiore di tutti gli altri, osannato a ogni meeting) hanno contribuito a immarcescire ancora di più, in maniera esponenziale. Il paradosso è che hanno costruito una sorta di cupola senza davvero avere consapevolezza di usare metodi sostanzialmente massonici o mafiosi, per cui gli 'amici' o la 'famiglia' (qui chiamati 'il movimento', al singolare, quasi ce ne fosse al mondo uno solo, o 'la compagnia') non si discutono e non si toccano, e soprattutto non si criticano mai. Una triste parabola: soprattutto per quelli che ci credevano davvero. Troppo pochi hanno pagato prezzo: solo Simone paga in carcere quello che la moglie ha denunciato come tradimento di Formigoni e degli altri (e oggi, senza pudore, è tra quelli che con un ricorso al Tar difendono il proprio vitalizio dalle riduzioni decise dalla regione Lombardia). Formigoni galleggia ancora nei cieli del potere, senza alcuna autocritica. Oggi tocca a Lupi: marginalmente, ma significativamente, per uno che ha evocato tanto spesso lo stile differente, oggi incarnato dagli abiti sartoriali pagati da altri. Io li vedevo e li frequentavo 'da fuori', come studente non di CL in un Ateneo dominato culturalmente, direi imperialisticamente, da CL, ma curioso di capire, senza pregiudizi, onestamente interessato a saperne di più, che leggeva le loro cose, talvolta partecipava a loro riunioni, frequentava compagni di studio di CL. Non voglio dire che si capiva già che sarebbe finita così. Ma un po' sì, in realtà: quell'aria chiusa, con troppo potere nelle mani di pochi e davvero troppo poca discussione e critica, si respirava già da allora. Mi piacerebbe che nel mondo cattolico si aprisse una riflessione, su questo. CL troppo spesso è stata descritta, dai suoi nemici (anche interni al mondo cattolico), come un'associazione a delinquere o un setta -- e non lo era. E dai suoi amici o ammiratori anche lontani (anche esterni al mondo cattolico, e spesso sorprendenti e improbabili: tanti, per esempio, nella 'ditta') è stata troppo acriticamente blandita, facendo finta di non vedere i segnali negativi che già emergevano in passato. Ma è un'esperienza, un esito, su cui invece riflettere seriamente. Perché ha a che fare con cose cruciali, per il mondo cattolico (tutto, non solo CL), su cui dai tempi degli Atti degli Apostoli non si smette di discutere: il rapporto con il potere, con la politica, con il denaro (denaro pubblico, soprattutto), con il successo mondano. Perché anche quando si parte convinti di cambiare il mondo, spesso si scopre che alla fine è il mondo a cambiare te, e invece di conquistarlo ne sei conquistato. Vale la pena rifletterci, su questa parabola, che è religiosa, politica, e semplicemente umana.