È il momento di regolarizzare gli immigrati
Gli immigrati sono quasi spariti dai radar della comunicazione. Ma ci torneranno presto. Per la loro presenza, per la loro invisibilità, e per la loro assenza.
Cominciamo da quest’ultima. Gli arrivi sono crollati, i rientri nei Paesi d’origine (soprattutto verso l’Est Europa), finché ci si è potuti muovere, sono stati massicci, la sostituzione interna non c’è. Risultato: l’agricoltura è in ginocchio, interi raccolti sono già andati al macero, e rischiano di andarci i prossimi, a cominciare dalla vendemmia e la raccolta delle olive, con la distruzione di ricchezza che possiamo immaginare. Da qui il ragionamento su una regolarizzazione su base individuale di chi è già qui e può dimostrarlo (strada scelta in tempi recenti da Spagna e oggi Portogallo): l’alternativa è continuare a tenerli irregolarmente, senza poterli rimpatriare, e non se ne comprende il vantaggio.
Veniamo all’invisibilità. La regolarizzazione ha anche un significato sul piano della salute pubblica: finora di immigrati contagiati se ne è parlato più che altro per notare la loro assenza, dovuta anche al fatto di essere popolazione più giovane. Ma la realtà è che nessuno controlla, ed è ancora più difficile farlo tra le sacche di marginalità, dove solo il volontariato si è fatto vivo, o anche solo nei quartieri più poveri, a maggiore densità abitativa. Scoppiasse domani il contagio in questi luoghi, di chi sarebbe la responsabilità? E quali le conseguenze? Per gli stessi motivi, occorre dare garanzie all’opinione pubblica sulla chiusura delle frontiere agli irregolari (al contempo garantendo il salvataggio – con la collaborazione europea – di chi rischia il naufragio, su navi quarantena o in hotspot specifici, ma senza garanzia di ammissione, e dove possibile con progetti di rimpatrio assistito).
Infine, la loro presenza. Come sempre durante le grandi crisi, in proporzione il prezzo più alto lo pagano gli immigrati (sta accadendo anche agli emigrati italiani): i primi a essere licenziati, quelli con meno tutele, i più poveri, anche. In Italia è povera una famiglia italiana su venti, ma una straniera su quattro. In tempi di risorse scarse e povertà accresciuta, non si tratta di dare agli immigrati qualcosa in più, ma semplicemente di assicurarsi che arrivino anche a loro le risorse destinate a lavoratori e famiglie bisognose: anche perché loro hanno, in meno, reti sociali e familiari di supporto. Il costo sarebbe un rischio di conflittualità sociale accresciuta.
Possiamo aggiungerci le misure a costo zero. Come quelle legate
all’integrazione e alla cittadinanza delle seconde generazioni. Abbiamo avuto vittime immigrate tra i medici come tra i pazienti, e mobilitazioni e raccolte di fondi tra comunità etniche e religiose minoritarie. Mai come in questo momento abbiamo bisogno di rendere solido il patto sociale, per tutti, e mai come ora occorre mobilitare il patriottismo e il senso di comunità, di tutti.
Il rischio, altrimenti, come insegna la storia, è che si manifesti la
ricerca di un capro espiatorio fin troppo facile, perché preesistente alla crisi. Ma di tutto abbiamo bisogno, in questo momento, fuorché di un aumento della conflittualità su base etnica e della creazione di nuove divisioni interne.
È il momento di regolarizzare gli immigrati, “La Stampa”, 18 aprile 2020