Primarie: un appello (breve) agli indecisi
A voi, che avete votato per Nichi Vendola e Laura Puppato
E a voi, che siete indecisi
Ci siamo confrontati spesso, in passato, e torneremo a farlo, in futuro, spesso trovandoci d’accordo. Ci uniscono molte cose, ma ci siamo divisi sul candidato da appoggiare alle primarie: abbastanza equamente, tra Renzi, Vendola, Puppato, e anche Bersani. Poco male. Provo a cercare di spiegarvi (non tenterò di convincervi: solo, vi racconto di me) perché, con idee spesso simili alle vostre, partendo da presupposti spesso simili ai vostri, ho votato per Matteo Renzi, e lo rifarò.
Il punto di partenza: cambiare
Comincio da una sensazione, che provo. E’ la prima volta che ho concretamente la sensazione che possano cambiare le cose, in questo paese. Mai come oggi vedo questa possibilità.
Questa richiesta e questa promessa di cambiamento si manifesta in forme diverse.
Una è l’astensionismo, la fuga da una brutta politica.
Un’altra è Grillo: i cui elettori mi stanno a cuore, perché sono un interrogativo sano, per noi, e spesso vorrebbero cose che vorremmo anche noi.
Un’altra ancora è cominciata a livello locale. Con l’esperienza milanese di Pisapia, quella cagliaritana di Zedda, quella genovese di Doria, quella pugliese di Vendola, quella fiorentina di Renzi. Esperienze di un modo diverso di governare, a livello locale, che hanno in comune una cosa, importante: sono partite dal basso, e hanno dovuto combattere contro l’opposizione dei gruppi dirigenti della sinistra, per imporsi. Gruppi dirigenti che oggi, unanimemente, sostengono Bersani, sia detto non incidentalmente. Perché – al di là della figura di Bersani stesso, che personalmente stimo – si sentono più garantiti nella loro continuità, e nella continuità delle logiche della vecchia politica contro cui tutte le persone che ho nominato hanno dovuto combattere, vincendo.
Un’altra promessa di cambiamento sono i movimenti che percorrono la società civile, l’insofferenza verso le scelte ‘ovvie’ della politica (e della tecnica che fa politica) attuali, da parte degli studenti, delle donne, delle giovani generazioni.
E un’altra ancora sono state le primarie, le persone che ci hanno partecipato e le hanno rese vive, la voglia di partecipazione pulita che hanno mostrato. E i vari candidati che vi si sono giocati. Tra i quali, tra poco, dovremo sceglierne uno. Se non il più vicino alle nostre posizioni, quello meno lontano, e che più ha possibilità di far vincere un disegno modernizzatore, innovatore, di cambiamento, di riforma, chiamiamolo come vogliamo.
Il cambiamento: ma quale cambiamento?
I programmi dei vari candidati hanno vaste aree di sovrapposizione: e non potrebbe essere altrimenti. Ci sono anche differenze d’accento, tuttavia: altrettanto significative.
Mi limito a sottolineare l’enfasi, nel programma di Renzi, sulla trasparenza, sulla semplificazione, sul ricambio, sulla parità di opportunità, sul merito, sulla qualità, sui diritti, sul ridare slancio e movimento a un paese immobile, sul far ripartire l’ascensore sociale: che si parli di scuola o di mercato del lavoro, di pubblica amministrazione o di funzionamento e costi della politica, di sud o di asili nido, di fisco o di pubblica amministrazione, di trasparenza o di finanziamento all’impresa. Certo, ci sono differenze di valutazione, anche serie, su singole ricette: ma non si può negare che l’impianto generale sia questo. In sintesi: quello di sbloccare un paese immobile. Quello di attaccare i privilegi, le corporazioni, le incrostazioni, le zavorre, le burocrazie (e andate a vedere con chi stanno, e chi voteranno, quelli che, nei vari settori, sono le corporazioni, le incrostazioni, le zavorre, le burocrazie, e anche i privilegi).
E’ un progetto, questo, che hanno anche coloro che, nel nostro campo, pensano a un nuovo modello di sviluppo per il paese, tra l’altro.
Ecco, io penso che le due cose vadano insieme, e siano una precondizione dell’altra. L’ipotesi modernizzatrice, diciamo così, e liberale nel senso largo (nel senso dei diritti, ad esempio, e delle opportunità: non solo in senso economico), si sposa molto bene con quella dell’altro punto di vista, del nuovo modello di sviluppo, se vogliamo. Sono alleati naturali.
Faccio solo un esempio: un paese più libero e liberale nel senso che ho detto (non, quindi, semplicemente liberista), non offeso e prigioniero delle burocrazie di tutti i tipi (mentali, statali, corporative e quant’altro), è una precondizione anche di una riflessione sui fondamentali che parta dall’ambiente, dalla green economy, dall’energia pulita, dal rinnovabile e dal sostenibile, dai modelli di consumo, dalla knowledge economy, dalla cultura, dalla partecipazione vera alle scelte, dalla qualità (della vita, dell’ambiente, delle relazioni).
Senza la prima cosa (i diritti, le opportunità, la libertà dalle costrizioni e dalle burocrazie, la qualità, il merito, la mobilità), la seconda (un nuovo modello di società, con priorità diverse e differenti gerarchie di valori, più sobria e sostenibile, più giusta e partecipata, più attenta a chi ha meno) è un sogno lontano.
Non a caso i paesi che in Europa sono più avanti sulla seconda, e a cui ci ispiriamo, sono anche quelli che non hanno bisogno della prima perché l’hanno già conquistata da decenni. E possono svoltare verso la sostenibilità, la qualità, e anche l’equità, perché una autentica rivoluzione liberal (ovunque: dai diritti di tutti alle opportunità di partenza per tutti, non quella a suo tempo promessa da Berlusconi) l’hanno già fatta, e hanno stati e istituzioni che funzionano proprio perché rispondono ai cittadini, con criteri di efficienza, di trasparenza, che favoriscono la partecipazione e il coinvolgimento delle energie positive della società. Noi no. Se si fa la prima cosa, e insieme si pensa la seconda, ne usciamo, dalla crisi, e bene, altrimenti no. Ma se non si fa la prima, la seconda è una mera dichiarazione d’intenti, un vago auspicio.
Mettiamola così: in un programma e in un progetto che sblocca l’Italia, è più facile metterci dentro anche quello che ancora non c’è, un’Italia diversa. In un’Italia bloccata restiamo ingessati e prigionieri tutti quanti.
Chi può vincere le elezioni
A questo punto, un ragionamento è necessario. Lo so che non sposterà nemmeno un voto, tra i già convinti. Ma è doveroso.
Sappiamo tutti, e ce lo dicono i sondaggi più seri, che alle elezioni chi ha la possibilità di prendere più voti, e quindi di vincere, tra Bersani e Renzi, è Renzi. Può piacere o meno, ma è una realtà. La mia domanda è semplice: vogliamo davvero vincere?
Perché ho la sensazione che per molti sia meglio perdere in purezza – e quindi non cambiare – che vincere, anche attraverso chi magari non veicola tutte le nostre aspettative, ma ci garantisce almeno una ripartenza. Che sia meglio non cambiare con il richiamo al voto di appartenenza che cambiare con l’aiuto del voto di opinione. Che sia meglio non chiedere il consenso di altri: anche se molti degli altri – quelli che oggi si astengono, quelli schifati dalla politica, quelli che votano Grillo, e anche quelli che hanno votato Lega o si sono lasciati sedurre dalle sirene berlusconiane – erano dei nostri, lo sono stati e se ne sono andati delusi perché non abbiamo cambiato davvero, nemmeno quando potevamo (vale per molti dei nostri ex-iscritti e votanti alle precedenti primarie, ad esempio), o lo sono oggi potenzialmente, in una situazione economica e in un quadro politico che sta cambiando radicalmente.
Difficile sperare in una riforma del Paese, se non lo coinvolgiamo.
Queste primarie hanno già cambiato il Pd, e anche il centrosinistra. Siamo già diversi da prima, e in meglio: nonostante le polemiche e le divisioni, siamo cresciuti, in consapevolezza e in consenso. Adesso possiamo e dobbiamo cambiare il Paese.
