Meloni e l’Europa. Quando i sovranisti cedono sovranità. Senza accorgersene. O senza ammetterlo.
La Commissione Europea approva una stretta sui migranti, un potenziamento dei rimpatri, e una apparente apertura sui centri di espulsione anche in paesi terzi. Ma è davvero una vittoria del governo italiano, che legittimerebbe i centri in Albania? Più no che sì. La stretta c’è. Anche con decisioni di semplice buonsenso, che si sarebbero potute adottare molto prima, come quella di uniformare le pratiche dei vari paesi e considerare l’espulsione da un paese come un’espulsione dall’intera UE, e impedendo il passaggio da un paese all’altro. Al contempo ci sono decisioni che fanno orrore alla civiltà giuridica occidentale, e che nel complesso non avvantaggiano nessuno, nemmeno le destre, come il fatto di poter detenere fino a 24 mesi (due anni!) nei centri persone che non hanno commesso alcun reato penale, ma semplicemente si sono viste rifiutare una richiesta d’asilo.
Al di là di questo, quale è la vera vittoria per il governo Meloni, che parla di legittimazione della sua linea? Propagandistica, mediatica: nulla più. Poter dire che ha convinto l’Europa. E che i centri in Albania sono cosa buona e giusta. Solo che non è così vero. La Commissione dice di volerli sdoganare, ma si guarda bene dal proporli come modello, e a tutt’oggi non c’è un solo paese europeo che abbia adottato una linea simile: armiamoci e partite, insomma. La UE poi li limita ai richiedenti asilo denegati, cioè la cui richiesta è stata respinta: quelli in Albania sono nati invece per selezionare gli ingressi (ma si può sempre cambiare). In terzo luogo, il regolamento approvato prevede l’istituzione di un organo indipendente per monitorare la loro gestione e il rispetto dei diritti umani (di cui saranno comunque responsabili i governi europei e Frontex): il che lascia presagire a livello europeo conflitti molto simili a quelli con la magistratura a livello italiano. La politica non potrà fare quello che si vuole, insomma. Come non si è potuto sulla vicenda della nave Diciotti e l’impedimento allo sbarco dei richiedenti asilo salvati in mare. Infine, c’è la questione dei tempi. Il regolamento europeo è una proposta. Che, come si è visto, non convince tutta la maggioranza che sostiene Ursula von der Leyen, visto che i socialdemocratici hanno votato contro. Ma il testo deve poi passare al Parlamento Europeo, dove si faranno tutte le mediazioni del caso, e infine dovrà essere approvato dal Consiglio, cioè dai governi. Se ne parlerà nel 2027, insomma. E intanto che ne faremo dei centri? E quanto spenderemo inutilmente per mantenerli in funzione pur senza alcuna funzione effettiva?
Vale la pena sottolineare una nota politica di cui non si è accorto nessuno, ma che apre a qualche (positiva) sottile ironia: i partiti e i governi sovranisti, che hanno sempre rifiutato la gestione europea delle migrazioni a favore della prerogativa nazionale, hanno finalmente accettato una non secondaria cessione di sovranità in favore dell’Europa. Un aspetto che apre a sviluppi significativi anche per il futuro: sulle politiche dell’immigrazione e forse anche su altro.
Resta un problema di sensatezza complessiva del progetto, che è chiaramente indirizzato solo alle pubbliche opinioni anti-immigrati: un riflesso pavloviano di risposta alla crescita elettorale dei movimenti di estrema destra. I rimpatri sono un pezzo delle politiche, e va bene. Nulla si dice tuttavia sui canali regolari di ingresso, sul fabbisogno di manodopera – non risolvibile per via demografica: chi dovrebbe sostituire chi esce dal mercato del lavoro, semplicemente, non è mai nato – che, se non coperto, ci impoverirà radicalmente (non è un’ipotesi: è un dato, su cui ci aspetteremmo risposte). Ma nulla si dice nemmeno sulle politiche di regolarizzazione e su quelle di integrazione: che saranno invece (le seconde soprattutto) la vera posta in gioco culturale dell’Europa di domani, ormai largamente plurale (etnicamente, religiosamente, culturalmente appunto). Ecco, forse servirebbe uno sguardo un po’ più complessivo. Che, ancora, manca: siamo ancora alla miopia selettiva di chi guarda al proprio interesse elettorale, anziché a quello autenticamente nazionale.
In “Quotidiano del Sud”, 13 marzo 2025, editoriale, p.1



