Contro le forbici della non politica. Il mio appello per il NO.
Sono favorevole a una ragionevole e ragionata riduzione del numero dei parlamentari. Proprio per questo voterò NO al referendum, che propone un irragionevole e controproducente taglio lineare. Per ragioni tecniche, di principio e politiche.
Il sistema non solo rimane altrettanto inefficiente, ma peggiora il suo funzionamento. Resta l’inutile bicameralismo perfetto, in cui le due camere fanno esattamente le stesse cose. Un sistema che esiste solo in Italia: come se un’impresa o un’associazione avesse due consigli di amministrazione con identiche competenze. Né vengono modificati gli antiquati regolamenti parlamentari, con cui invece si sarebbe dovuto cominciare: anche qui, qualunque istituzione o azienda avrebbe cominciato dalle regole, non dal numero. Ma la situazione peggiora ulteriormente, perché stesse competenze in capo a meno persone significa rallentare i lavori parlamentari, anziché accelerarli. Le commissioni, attraverso cui si espleta il grosso dell’attività parlamentare, avranno meno membri (che dovranno far parte di più commissioni, specializzandosi meno), e i partiti più piccoli non potranno essere rappresentati: decideranno le segreterie dei partiti più grandi. Anche perché in collegi elettorali molto più ampi, in cui è difficile per i candidati farsi conoscere, passeranno solo quelli supportati dai partiti perché fedeli al capo, o quelli più ricchi, mentre sarà più difficile il loro controllo da parte dei cittadini: non un guadagno, per la democrazia.
La rappresentanza è alterata. Con oltre un terzo dei parlamentari in meno, da un lato ci saranno piccole regioni pochissimo rappresentate, ma dall’altro verrà ridotto drasticamente il peso proporzionale delle regioni più grandi ed economicamente importanti, con vistose diseguaglianze: i cittadini veneti ad esempio eleggeranno in proporzione molti meno parlamentari (ci vogliono molti più elettori per eleggere un rappresentante) del Trentino-Alto Adige, che manterrà quasi intatto il suo peso, perché il loro voto di scambio era decisivo per far passare questo obbrobrio di legge.
Si fa risparmiare mezzo caffè (l’anno, non al giorno) a cittadino, quando i veri costi della politica, decisamente più alti, sono legati alla sua inefficienza e all’incompetenza dei parlamentari: temi che non vengono proprio toccati dalla riforma. E semmai si poteva risparmiare sui costi fissi di camera e senato, che paradossalmente rimangono inalterati, pesando quindi percentualmente di più. Per dire, solo i soldi buttati nell’ultimo prestito a fondo perduto per Alitalia, che finiranno in pochi mesi, avrebbero mantenuto le camere attuali per un trentennio.
Il problema vero è avere parlamentari migliori, selezionandoli meglio, che è l’opposto di quello che fanno i principali promotori di questa legge, che hanno portato in parlamento i peggiori eletti della storia repubblicana, e continueranno a farlo.
Il simbolo di questo referendum sono le forbici. Non a caso, i promotori della legge hanno già detto che se vincerà il SÌ proporranno anche la riduzione degli stipendi dei parlamentari: e così faranno politica solo persone ancora più incompetenti e persino più incapaci (e meno rappresentative) del ceto politico che ha voluto questa non riforma, solo per prendersi un facile consenso genericamente anticasta.
Per costruire una nuova architettura istituzionale occorre, appunto, un architetto, un progetto, una visione. Tutto quello che qui manca. Restano le forbici. Con cui si può solo distruggere, non costruire.
Ma questo taglio è irragionevole, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 19 settembre 2020, editoriale, p.1