Sparano pallini contro l’insegnante, e postano il video. Al di là dell’indignazione
Non è il Far West, e nemmeno gli somiglia. Ma è un episodio utile per riflettere, e lo usiamo a questo scopo. Il caso è quello dei tre ragazzini di prima superiore in un istituto tecnico di Rovigo che, per divertimento, hanno sparato con una pistola ad aria compressa a un’insegnante, ferendola lievemente, e naturalmente immortalando l’impresa in un video. Niente di grave come conseguenze pratiche: nemmeno il bisogno di ricorrere a cure mediche. Ma un rischio potenziale maggiore, e soprattutto significati culturali e conseguenze simboliche che è utile valutare.
Bene ha fatto la scuola – al di là della scontata (ma certo non percepita come particolarmente punitiva) sospensione dei ragazzi coinvolti – a cogliere l’occasione per parlare di educazione civica con tutti gli studenti. Doveroso affrontare con un approfondimento specifico i diretti interessati e le loro famiglie: magari, insieme all’insegnante – è sempre bene guardarsi negli occhi, in certe situazioni. Ma quello che colpisce l’osservatore adulto (che tuttavia tende a generalizzare un po’ troppo) è in qualche modo l’idea di profanazione della sacralità della scuola: ormai persa, e sulla quale dovremmo lungamente interrogarci, per approfondire ragioni culturali, politiche, economiche e corporative di questa perdita di autorevolezza – che, in mancanza di un profondo rinnovamento dei contenuti e della didattica, è irrimediabile. E lo si vede anche nel modo rassegnato con cui i docenti affrontano talvolta le classi e il loro stesso ruolo; nella difficoltà di gestire l’aula, le sue regole, i suoi conflitti interni.
A detta di professori e preside colpisce l’inconsapevolezza – frequente, in questi casi – della gravità di quanto fatto, e l’omertà tra ragazzi: tutti ridono, nessuno “fa la spia”, ovvero risponde alla domanda “chi è stato”. Ma anche questo è un annoso dilemma morale, che passando per i ragazzi della via Pal arriva fino a noi – un difetto degli uomini, non dei tempi. Forse ci sarebbe utile, dopo tutto, ricordare che la maggioranza dei ragazzi “non” fa queste cose, se ne dissocia, usa questi episodi, esattamente come noi, per ragionare sul significato della norma e del suo discostarsene. Come sempre, inevitabilmente, fa più notizia l’albero che cade della foresta che cresce. Ma tali comportamenti non rappresentano la fisiologia, ma, tuttora, la patologia.
Certo, l’arma portata a scuola inquieta. Non è necessariamente indicatore di propensione alla violenza, ma di leggerezza e infantilismo, e di mancata introiezione di alcune regole di base del processo di socializzazione che famiglia e scuola sarebbero chiamate a insegnare, sì. Ed è bene utilizzare l’episodio per ribadirle. Ma se l’obiettivo fosse stato far male, sarebbe bastata una sedia.
Sulla questione del video e della sua diffusione sui social, siamo nel pieno delle problematiche della contemporaneità: la ricerca dello scherzo, del meccanismo acchiappalike, del quarto d’ora (scarso) di celebrità a buon mercato, dell’ossessione di apparire in quell’altra realtà, quella virtuale, in cui riusciamo a sentirci in qualche modo protetti, anche dalle conseguenze dei nostri gesti (che invece sono amplificate). Ma la decolpevolizzazione che parla di bravata o di scherzo purtroppo la imparano nei loro luoghi di socializzazione abituali, dagli adulti: la famiglia, pronta troppo spesso a difendere i suoi membri a prescindere, ma anche la cultura pubblica (intesa in senso lato: dal tifo calcistico alle aule parlamentari), che spesso derubrica a bravata un insulto razzista o un pestaggio omofobo. E a proposito, colpisce anche la stanca, immediata ma scontata reazione trasversale, quasi un riflesso pavloviano, della politica, non importa il colore: che reagisce tutta col medesimo linguaggio, la stessa aggettivazione drammatizzante, l’ennesimo richiamo a una presunta “emergenza nazionale” (ormai lo è tutto, dunque non lo è più niente), la solidarietà priva di contenuti alla classe insegnante. Mostrando una distanza dal reale che ormai non fa nemmeno più notizia.
I pallini non sono il Far West, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 27 ottobre 2022, editoriale, p.1