Liste civiche contro partiti. Come cambiano i modelli organizzativi della politica

Civismo contro partiti. Potremmo leggere anche così l’esito di quest’ultima tornata elettorale. Un fenomeno certo non nuovo, ma in continua crescita e con nuovi e sempre più importanti protagonisti.

Le sfide elettorali comunali sono quasi sempre tra candidati civici, anche nelle grandi città. Alcuni di essi arrivano addirittura a snobbare del tutto i partiti, rifiutando perfino di incontrare in pubblico i leader nazionali venuti a sostenere le loro liste (come ha fatto Tommasi a Verona). E sempre più spesso le liste che ottengono più successo sono quelle personali dei candidati (cioè civiche, o travestite in modo da sembrarlo). Anche a livello regionale. L’esempio di maggiore successo è probabilmente quello di Luca Zaia. Certo, membro di un partito, leghista fino al midollo. Ma capace di non sembrarlo, accreditandosi in maniera personalistica, costruendo liste che hanno stracciato anche quelle del suo stesso partito di appartenenza: con un successo tale da rendere l’esperimento difficilmente ripetibile con altrettanta fortuna, e rendere improba perfino la ricerca di un successore.

Si possono elencare molte ragioni interne alla politica stessa per spiegare il crollo di consenso dei partiti. La fine dei partiti di massa, i numeri drammaticamente calanti di iscritti (e la progressiva incapacità di motivarli o tutelarli), la modesta caratura delle leadership, i processi di personalizzazione e disintermediazione che hanno schiacciato il consenso sui e sulle leader (oggi è quasi impensabile un partito, anche minuscolo, senza il nome del leader sul simbolo, quasi quanto sarebbe stato sacrilego nella prima repubblica immaginare quello di Berlinguer o di Moro sulla falce e martello o sullo scudo crociato).

Ma ci sono ragioni anche sociologiche che hanno influenzato queste dinamiche, ben al di là del crollo di fiducia nei partiti stessi. Il nostro orizzonte temporale è radicalmente cambiato, e oggi si proietta sull’oggi molto più che sul domani: in un processo di presentificazione degli orizzonti che non può non avere effetti sulla capacità di impegnarsi per obiettivi di più lungo termine. Tutto è più breve e cambia più velocemente: le mode come le opinioni. E contestualmente diminuisce la durata temporale di tutto: dei progetti e degli impegni, come dei matrimoni o delle scelte di fede. I processi di mobilità ci fanno cambiare sempre più spesso lavoro e latitudini, e dunque anche reti di relazione. E ci siamo abituati a farlo senza drammi apparenti. Non essendoci più né il posto né il matrimonio fisso (oltre la metà finisce in divorzio), figuriamoci se potevano rimanere fisse le appartenenze politiche.

I partiti, naturalmente, non sono morti. E non solo perché la costituzione tuttora affida a loro, e solo a loro, il ruolo dell’intermediazione tra lo stato e gli individui. Solo l’esistenza di organizzazioni dagli orizzonti lunghi può sedimentare la cornice valoriale in cui inserire le politiche contingenti, e solo istituzioni stabili possono consentire di trasmetterle creando un quadro dirigente diffuso, disponendo di uffici studi e scuole di partito, su cui tuttavia la maggior parte dei partiti in Italia ha rinunciato a investire (e quindi tanto vale la civica…). Ma per sopravvivere devono cambiare natura. Per rappresentare la società hanno bisogno di relazioni con l’esterno, precisamente perché non hanno più la società al loro interno: il dramma è che fanno fatica a farlo, al punto che la società, non sentendosi rappresentata, sta smettendo di partecipare ai rituali della politica (da qui l’astensionismo, e il civismo come alternativa funzionale). Oggi il consenso è volubile (basta pensare alla rapidità di parabole recenti, dal M5S a Renzi), e la partecipazione magari entusiasta, ma più sregolata e veloce, e per natura meno duratura. Per questo i partiti debbono anche diventare – e non c’è niente di male a trarne le conseguenze – delle specie di autobus: certo, con una vaga idea della direzione da intraprendere, ma capaci di far salire le persone anche solo per qualche fermata, finché di loro interesse, e cambiando conducente al bisogno, secondo capacità intercettate volta per volta.

 

I candidati civici e i partiti-autobus, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 15 giugno 20221, editoriale, p.1