La retorica dell’autonomia

L’autonomia, in questa regione, più che un obiettivo politico è sempre stata una retorica: una narrazione di successo, e per questo motivo molto utilizzata, ma troppo spesso priva di contenuto reale, buona da tirare fuori a giorni alterni a seconda delle convenienze del momento (specie in prossimità delle scadenze elettorali), e dimenticata per il resto dell’anno. Lo dimostrano anche le polemiche di questi giorni. Il Partito Democratico ha promosso un convegno sul tema, sostenendo che, visto che di autonomia tanto si parla ma poco si fa e ancor meno si ottiene, meglio chiedere l’autonomia solo sulle sette materie più facilmente gestibili a livello regionale (come ha fatto la pragmatica Emilia-Romagna, senza neanche bisogno di celebrare un referendum) – e che includono questioni importanti come politiche del lavoro, istruzione e formazione professionale, sostegno alle imprese, governo del territorio – che pretenderla su tutte e ventitré le competenze concorrenti e invocando la gestione dell’intero residuo fiscale (cosa che non ha fatto nemmeno la Lombardia, pure essa a trazione leghista), e ottenerla su zero. Come reagisce la Lega? Come troppo spesso è avvenuto. Ripetendo per bocca del suo capogruppo il suo mantra: o tutto o niente. Cioè, a tutt’oggi, niente.
Sono anni che si va avanti così. Da ben prima del mitico referendum, dal quale ci separano già quattro anni e mezzo: che avrebbe dovuto rappresentare una svolta storica (andate a riprendervi slogan e articoli di giornale dell’epoca), l’inizio della fine dell’odiato centralismo statale. E invece niente. Siamo al punto di partenza, forse anche un po’ più indietro: con meno convinzione, zero entusiasmo, e forse ancora meno argomenti che in passato, dato che tutti i messaggi troppo ripetuti e mai praticati finiscono per usurarsi, e trasformarsi, per l’appunto, in vuota retorica, in ipocrita attestazione di principio (un po’ come quando i genitori ci ripetono per anni sacri principi di comportamento che sono i primi a non mettere in pratica).
Ci sono molti motivi per cui questo è successo. E moltissimi sono in carico ai nemici dell’autonomia: lo stato che si muove con lentezza pachidermica (senza tuttavia apprezzabili differenze tra i momenti in cui gli alfieri dell’autonomia sono all’opposizione o al governo), le regioni del Sud che si oppongono per non perdere, oltre che dei privilegi, dei modi inerziali di governare il consenso, la contrarietà di burocrazie e corporazioni. Ma alcuni sono in carico alla responsabilità della classe politica di governo veneta, che ha incassato su questo un assegno in bianco, e della sua classe dirigente (produttiva e intellettuale, e anche politica di opposizione) che gliel’ha rilasciato, senza mai andare a vedere come e se è stato speso, il dividendo dell’autonomia. Se, oltre al consenso per chi se ne faceva alfiere, ha mai portato altro. E senza attivarsi in proprio per produrre dei risultati.
Certo, c’è una coscienza diffusa che sarebbe utile e necessaria. Ma forse perché obnubilati dalla eccessiva facilità con cui funzionava lo slogan, non si è mai andati oltre o sotto di esso, a cercare di riempirlo di contenuto. Ci sono alcuni bravi specialisti al lavoro, incontri tra delegazioni che ancora si svolgono. Ma niente che assomigli a una serie ben delineata e attuabile di proposte concrete. Non un quadro complessivo di previsioni e calcoli precisi di vantaggi e svantaggi, di costi e benefici, su cui poter discutere, accalorarsi, litigare. Non la formazione di un gruppo competente di esperti e decisori pubblici capaci di elaborare l’applicazione pratica di principi generici, e di discuterla con gli attori sociali coinvolti e le forme organizzate di società civile. Non la road map della fase di transizione, con l’individuazione di responsabilità e forme di controllo, ruoli decisionali e funzioni ispettive, tempi, modi e luoghi di partecipazione. Non una consultazione continua degli operatori dei vari settori per favorire la messa in pratica dei provvedimenti necessari, anticipandone gli scenari e i rischi (ci si prepara prima, non dopo, se si vuole affrontare una sfida nuova e difficile). Non una discussione pubblica e appassionata, convinta e coinvolgente, sul merito delle scelte da compiere. Ecco, si ricominci da qui: dal come, con chi, per fare cosa, in che modo – nel merito. È già tardi, ma meglio tardi che mai. O l’autonomia non sarà altro che quello che oggi sembra già essere diventata: l’ennesima occasione persa.

Autonomia, realtà e retorica, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 19 aprile 2022, editoriale, p.1