La politica, il conformismo, il dissenso. Riflessioni a partire dal caso Da Re
L’espulsione dell’europarlamentare Toni Da Re dalla Lega è notizia di costume, non solo politica, che può suscitare qualche riflessione più larga del suo caso personale e di quello del suo partito. Toni Da Re è certamente personaggio sanguigno: e, peraltro, il suo consenso personale era dovuto precisamente a questo. Le sue esternazioni – ad esempio sull’immigrazione e altri temi – spesso discutibili e tranchant. Ma il ‘reato’ per cui è stato punito non è questo: quelle stesse posizioni sono apertamente condivise e spesso incoraggiate, nel suo ex partito. Quello che non è incoraggiato, anzi è proprio vietato, come si è visto, è la critica al leader, che diventa immediatamente reato di lesa maestà.
Ufficialmente, come noto, è stato infatti espulso per aver dato del “cretino” al suo capo politico, Salvini: in realtà il suo dissenso è più largo e radicato nel tempo. Ecco, la questione del dissenso è una prima chiave di lettura: la Lega non lo tollera. Non a caso era stata definita, fin dai suoi albori, l’ultimo partito leninista, in cui il centralismo democratico di antica memoria comunista è il metodo di governo interno, ferreo, del partito stesso. Il che ha prodotto una antropologia persino umiliante per chi la rappresenta. Raro il dibattito interno, clamorosa la mancanza di discussione a fronte di svolte a 180 gradi della linea politica e delle alleanze, ridondante la presenza di yesmen e di yeswomen, irritante il livello di culto della personalità: già con il suo fondatore, Bossi. Solo per fare un ironico confronto, se nel Partito Democratico fossero stati espulsi tutti i dirigenti, rappresentanti e militanti che hanno considerato cretino il o la loro leader di turno, e l’hanno esplicitato in varia forma, avrebbe certamente più epurati che iscritti.
Quella dell’essere proni al leader, che dopo tutto è il garante ultimo di una carriera politica che è anche un redditizio modo di sfangarsela nella vita, non è tuttavia solo una prerogativa della destra, e per motivi per così dire di destra: perché ama l’uomo (o la donna) forte al comando. Fu così anche per Berlusconi, certo, e non sembra di vedere un gran dissenso intorno a Meloni, che ha affidato il controllo interno del partito alla sorella, ma non è che con Renzi e molti altri, anche di partiti minuscoli della galassia di centro, di destra o di sinistra, del passato o del presente, questo atteggiamento sia da meno, o meno visibile. In altre stagioni politiche tanto Almirante che Berlinguer erano oggetto di un’obbedienza e di un consenso acritico che è il minimo considerare preponderanti. Quello dell’obbedienza cieca, pronta, prona e assoluta non è un tema di parte, ma della politica nel suo complesso, e in particolare dei leader carismatici, capaci di trascinare consenso. Ed è questo che dovrebbe farci riflettere. La politica incoraggia un modo di essere e di appartenere – appunto obbediente, acritico, privo di coraggio e di responsabilità – che invece chiediamo alla scuola di insegnare, per statuto e mestiere. E non notiamo la contraddizione. In altre aree della vita sociale (a scuola appunto, in famiglia, ma è il mestiere anche di educatori, psicologi, coach sportivi, animatori, per non parlare del mondo dell’arte in tutti i suoi aspetti: cantanti, attori, registi…) diciamo di voler incoraggiare l’autonomia, lo spirito critico, la creatività, il libero pensiero, il coraggio di difendere le proprie opinioni e di pagarne le conseguenze, di essere minoranza, di cercare strade solitarie, l’anticonformismo anche. In politica, invece, vengono premiate le qualità, o i vizi, opposti: l’obbedienza, l’acriticità, la subordinazione a costo dell’umiliazione personale, il conformismo – le proprie idee devono essere le idee del capo e del partito, altrimenti è meglio non dichiararle. E su questo sarebbe utile riflettere. Finché non cambieranno i meccanismi premiali e la forma organizzativa stessa della politica (ma vale anche per altri ambiti di impegno collettivo, come la religione, per non parlare del mondo militare) ci sarà uno scollamento tra i valori dichiarati rilevanti nel privato e quelli praticati in pubblico. A cui corrisponde una specifica forma di schizofrenia, per la quale tuttavia non si vedono terapeuti, né forme di guarigione.
La lesa maestà, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 9 marzo 2024, editoriale, p. 1-2