Immigrazione, sbarchi, accoglienza: le contraddizioni dell’Italia

Sembra di stare in “Ricomincio da capo”, il vecchio film in cui uno sfortunato Bill Murray impersona un metereologo rimasto imprigionato in un loop temporale, che lo fa risvegliare ogni mattina alle sei nello stesso giorno, il giorno della marmotta. Noi invece siamo tornati all’era pre-Covid, nel periodo in cui Salvini era ministro dell’interno, e si faceva la guerra alle ONG e agli immigrati sbarcati in Italia (intorno ai 12mila nel 2019) mentre non ci si accorgeva che nello stesso anno gli emigranti erano saliti a 285mila, e forse il problema più serio era lì. Oggi come allora si usano i migranti raccolti dalle navi umanitarie (una frazione di quelli arrivati in Italia via mare, peraltro, a loro volta una parte del totale, che include anche chi arriva via terra per la rotta balcanica), per lanciare obliqui messaggi all’opinione pubblica interna, dimenticando totalmente i problemi veri, per non parlare dell’interesse dell’Italia.

Cominciamo dai problemi. La principale contraddizione sta nel fatto che i due principali partiti di governo, Lega e Fratelli d’Italia, non vogliono ammettere che esiste una necessità strutturale di forza lavoro immigrata. Si continua a dire che sì, è giusto salvare i profughi, “quelli veri”, ma i migranti economici non servono e non li vogliamo. Ebbene, è il contrario. I primi vanno salvati per motivi umanitari, e impegni liberamente assunti attraverso la firma di convenzioni internazionali: che, se non si è più d’accordo, vanno denunciate, assumendosene la responsabilità. Ma dei secondi abbiamo un enorme bisogno, e senza di loro rischiamo un vero e proprio de-sviluppo, in confronto al quale la crisi attuale sembrerà una passeggiata. Il motivo è semplice: nei prossimi trent’anni la forza lavoro (15-64 anni) scenderà, nello scenario più probabile, di dieci punti, dal 63,8% al 53,3%, passando dai due terzi alla metà della popolazione. Secondo molti le cose starebbero anche peggio: già solo tra il 2022 (oggi) e il 2030, e solo nel Centro-Nord, la quantità di forza lavoro calerà di oltre un milione e 200mila unità, per la semplice ragione che le persone che dovrebbero sostituire chi andrà in pensione non sono mai nate, non esistono, e quindi quelle posizioni resteranno inoccupate. Certo, potrebbero occuparle i nostri figli, se li facessimo: ricordo che negli ultimi due anni la differenza in negativo tra nati e morti ha superato le 400mila persone – una città come Bologna che sparisce ogni anno. Ma anche se prendessimo oggi i provvedimenti migliori del mondo per favorire la natalità (cosa che non si farà perché si preferisce investire, follemente, sull’anticipo dell’età pensionabile, e anche questo governo, come i precedenti, ha altre priorità), gli effetti sul mercato del lavoro si vedrebbero comunque tra vent’anni. Nel frattempo, i posti di lavoro, e la ricchezza che ne consegue, li bruciamo?

Gli imprenditori, di tutti i settori, queste cose le sanno già, visto che non trovano manodopera: non solo nel turismo, come denuncia il ministro leghista Garavaglia, e non solo nell’agricoltura, come ci si accorge a ogni inizio di raccolta stagionale, ma pure nella manifattura. Le sanno anche i politici che rappresentano i territori più produttivi d’Italia, a partire da Lombardia e Veneto, governati dal centro-destra. Il problema è che sono i loro riferimenti nazionali, i loro leader, a continuare a voler insistere sulla criminalizzazione dell’immigrato che arriva irregolarmente in quanto tale, per motivi di bottega elettorale, di messaggi che si vogliono mandare all’opinione pubblica (che tuttavia è probabilmente più avvertita di loro, visto che in tutti i sondaggi la paura dell’immigrazione è scesa notevolmente di livello, rispetto a ben più realistiche paure materiali). Finché non ci sarà una presa di posizione finalmente politica, anche da parte dei territori, in cui si denuncino le politiche nazionali su questi temi, non se ne uscirà. Continuando a fare (e qui veniamo al secondo punto) il male del paese, giocandosi la collaborazione internazionale, più necessaria che mai, in cambio di qualche strizzatina d’occhio in favore di telecamera all’elettorato interno, tanto in Italia come in Francia.

Il solo modo serio di affrontare il tema degli sbarchi di irregolari è la riapertura di canali regolari di ingresso, in collaborazione con l’Unione Europea e tramite accordi (che, se tali, devono essere vantaggiosi per le due parti) con i paesi di provenienza; la gestione europea dei richiedenti asilo, con una revisione (che non può che essere concordata, non imposizione unilaterale) degli accordi di Dublino e sul ricollocamento dei profughi; e l’integrazione di chi è già qui, smettendola di additare l’immigrato come un nemico, dato che queste semine d’odio hanno effetti gravi sul piano sociale, creando conflitti anziché risolverli. Per evitare di occuparsi di questi, che sono problemi seri, e presuppongono riflessione, lavoro e competenze, si preferisce invece continuare a piantare bandierine identitarie, in cui la sceneggiata sulle ONG è parte dello spettacolo. Un giochino che alimenta il clima da tifo calcistico, ma non risolve i problemi: li aggrava. E, come si è visto, indebolisce la collaborazione intraeuropea anziché rafforzarla.

 

Migranti, gli errori italiani, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 13 novembre 2022, editoriale, p.1