Governare le migrazioni, non le ONG

La geniale trovata di far percorrere 1200 chilometri in quattro giorni di navigazione a una nave che si trovava tra l’Italia e l’Africa, per scaricare i migranti a La Spezia, salvo poi riportarne una parte a Foggia in autobus, percorrendo altri 750 chilometri in senso contrario, come appena accaduto con la Geo Barents di Medici senza frontiere, dà l’idea precisa di come si continui, di fronte alle migrazioni, a inventare iniziative estemporanee senza capo né coda, giusto per mandare una qualche ottuso e contraddittorio segnale di attivismo all’opinione pubblica, senza che nulla di sostanziale accada. Illudersi di fermare le migrazioni irregolari bloccando l’attracco delle navi delle Organizzazioni non governative o rendendo più difficile la loro attività, del resto, è come cercare di fermare l’acqua corrente riportandola dentro il rubinetto usando un colino: il flusso non si ferma comunque, è impossibile influire con questo comportamento sulla logica che ha portato l’acqua nel rubinetto, e comunque il colino è l’attrezzo meno adatto per farlo – alla fine l’acqua, seppure più lentamente, passa comunque. In più, incidentalmente, gli arrivi attraverso le navi delle ONG sono a loro volta una minoranza degli arrivi totali via mare, che a loro volta non tengono conto di quelli via terra.

Ecco, insistere sulla stretta alle ONG dà l’idea di quanto la politica non sappia che pesci pigliare, e si arrabatti su soluzioni che tali non sono, da buttare in pasto a un’opinione pubblica che peraltro non ci crede più. L’errore sta proprio nel focalizzarsi sugli arrivi, quando quello che conta veramente sono le partenze. Perché il problema è lì. È su quel fronte che occorrerebbe lavorare: non con iniziative di bandiera, ma con un paziente lavoro di cucitura diplomatica all’esterno, e una intelligente apertura legislativa alle migrazioni economiche all’interno, spiegando all’opinione pubblica che è necessario, e perché (le ragioni demografiche e di mercato del lavoro sarebbero facilmente spiegabili: se non lo si fa è perché non si vuole perdere la rendita politica – sempre più modesta, abbiamo la sensazione – dell’immigrato come capro espiatorio di problemi che non ha creato lui). Rendere le migrazioni possibili legalmente, con canali dedicati, concordati con i paesi di partenza, meccanismi di selezione sulla base delle capacità professionali, del titolo di studio e della conoscenza della lingua, e precisi accordi di rimpatrio degli irregolari, consentirebbe di offrire una via alternativa ai migranti, più sicura e garantita (perché fargli attraversare prima il deserto e poi il mare, o una mezza dozzina di fredde e militarizzate frontiere balcaniche, mettendoci un anno o più, con sofferenze inenarrabili che poi pesano anche sulle loro forze e la loro capacità di integrazione, quando potrebbero prendere anche loro – come noi quando andiamo da loro – un volo low cost e arrivare in poche ore?). Riaprire canali controllati di ingresso è necessario tanto per loro (ci sarebbero meno morti e più speranze) quanto per noi, che almeno sapremmo chi viene e dove va, invece di perdere il controllo di un’immigrazione irregolare tra i cui effetti c’è l’aumento del numero di minori non accompagnati, l’abbassarsi del livello di istruzione dei migranti, il crescere dell’insicurezza tra i cittadini, ma anche il moltiplicarsi dei guadagni di pericolose mafie transnazionali che poi reinvestono nelle economie legali dei loro e dei nostri paesi, inquinandole.

Conseguenza a valle di questo assurdo meccanismo è che si stima che in Europa ci sia almeno un 2% di popolazione irregolare, senza diritti e impossibilitata per questo solo fatto a rimanere nel circuito della legalità: un’irregolarità (mancanza di documenti e permessi) infatti tira l’altra (abitazione non dichiarata, lavoro in nero, mancanza di copertura sanitaria, ecc.), con le conseguenze che si possono immaginare, e che per nostra fortuna comportano meno frequentemente di quanto sarebbe lecito ipotizzare l’ingresso nei circuiti dell’illegalità e della delinquenza veri e propri.

Nessuna soluzione sarebbe definitiva. Non si può abolire l’immigrazione irregolare per legge: una quota c’è sempre stata e sempre ci sarà. Ma almeno avremmo fatto il possibile per diminuirne l’entità, e anche per rendere più umano un meccanismo che oggi non lo è.

 

Un vero governo dei flussi, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 7 febbraio 2023, editoriale, p.1