Elezioni europee: le responsabilità degli elettori

Si avvicinano le elezioni europee, e il teatrino delle candidature mostra quanto queste vengano considerate, in Italia, una specie di varietà. È un paradosso autolesionistico, e molto indicativo, purtroppo, del livello del ceto politico, ma anche dell’elettorato.
Le elezioni europee sono infatti, per molti versi, persino più importanti di quelle italiane. Sempre più cose fondamentali si decidono a quel livello. Essere nelle commissioni, se possibile dirigerne i lavori e fare da relatori a progetti di legge (e capita solo se ti viene riconosciuta una qualche professionalità, o comunque hai una rete internazionale che ti sostiene, e a cui dovrai rispondere in termini di efficacia), è un modo prezioso e insostituibile di far progredire la collaborazione europea, ma anche di fare gli interessi italiani. E noi chi ci mandiamo, con una frequenza ottusa e sorprendente? Trombati alle elezioni; sconfitti ai congressi; rappresentanti uscenti da rieleggere (senza mai che si faccia un bilancio di quello che concretamente hanno fatto nella legislatura precedente: la rielezione è un diritto, che diamine!); nemici politici da ‘esiliare’ dove non possono disturbare il manovratore; yesmen e yeswomen incapaci della minima autonomia di pensiero ma fedeli alla linea; persone che non parlano alcuna lingua straniera (e con difficoltà, magari, quella italiana); sindaci di paesini da premiare per la loro fedeltà o semplicemente perché a fine mandato e bisognosi di una prebenda (con la scusa ufficiale che la vera politica si fa sul territorio, per cui se hai governato bene San Guidobrando sul Briscolo sarai perfetto per gestire i dossier economici o sull’intelligenza artificiale); figurine di facciata acchiappaclick che si trasformano rapidamente in assenteisti professionali (non essendo nemmeno militanti di partito, si accontentano di usarli come taxi all’incontrario – paga chi guida – per poi farsi abbondantemente i fatti propri); o semplicemente persone che dell’Europa non sanno e non interessa alcunché: magari perché, come è capitato anche a qualche leader di partito, sono addirittura contro la sua stessa esistenza, e quindi sembra loro un gesto eroico dileggiare quelle istituzioni le rare volte in cui ci vanno, incassandone tuttavia a tempo pieno le laute remunerazioni, senza dare nulla in cambio, o perché comunque, qualunque cosa dicano (o qualunque pietosa sceneggiata facciano: si è visto anche questo), si rivolgono sempre e solo al pubblico italiano. E se fosse per diffondere contenuti, o far vedere quanto hanno lavorato, passi, ma il più delle volte è per ripetere stancamente un messaggio ideologico inconcludente: siamo contro qualcuno, siamo a favore di qualcosa, ma in ogni caso non facciamo nulla.
Personaggi così ce ne sono anche in altri paesi. Ma, è onesto dire, in numero inferiore. Il che spiega perché altri paesi difendano meglio pure gli interessi nazionali, presidiando i dossier più importanti per la propria industria, agricoltura, società civile. Ricordiamocelo sempre: se l’Europa in qualche materia è su posizioni contro i nostri interessi, è spesso perché noi abbiamo mandato lì gente del tutto incompetente, che spesso nemmeno si accorgeva di quello che gli capitava sotto il naso. In più, abbiamo il fenomeno surreale di leader di partito o di regione che si candidano per raccattare voti purchessia a favore della lista, dicendo per giunta già prima che è tutto uno scherzo, tanto loro, lì, non ci andranno mai: e la preferenza da noi usata per simpatia sarà utilizzata per eleggere un ominicchio o un/a quaquaraquà, per usare l’indimenticabile terminologia di Sciascia, di cui ignoriamo persino il nome – e lo ignoreremo anche dopo.
Le percentuali di queste figure potranno essere differenti nell’una o nell’altra elezione, e riguardo questo o quel partito, ma è stata finora una costante. E dovrebbe interrogarci. Certo, ci sono stati nella storia anche casi di scelte lungimiranti da parte dei partiti e degli elettori: così clamorosi che risaltano per la loro stranezza. Ma la norma è l’anomalia. Alle europee non ci sono listini bloccati, ai quali abbiamo sempre dato la colpa del miserrimo livello del ceto politico nostrano. Il che significa che la colpa maggiore ce l’hanno gli elettori, che hanno l’arma della preferenza individuale, ma non la usano, o la usano malissimo. Butto lì uno spunto interpretativo: il livello di analfabetismo funzionale in Italia riguarda il 30% della popolazione, il doppio della media europea, che è del 15%; mentre il livello di “competenze adeguate o elevate” riguarda solo il 30% degli italiani, contro una media europea – più che doppia – del 65%. Con i giovani il gap si sta sempre più riducendo. Purtroppo, sia in cifra assoluta che in percentuale, votano di più gli anziani.

 

La qualità dei nostri politici, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 20 aprile 2024, editoriale, pp.1-2