Autonomia e LEP: si comincia (non bene)

Il CLEP, o Comitato per i LEP (quello che dovrebbe decidere sui livelli essenziali delle prestazioni, un meccanismo fondamentale per far partire l’autonomia), è stato appena nominato. Sarà composto da 61 membri, coordinati da Sabino Cassese, che conosce come pochi la macchina dello stato. Poiché qualcuno ha definito il comitato come la Costituente dell’autonomia differenziata, ovvero l’organo che dovrebbe determinarne le linee guida e la fattibilità reale, ci piacerebbe poter auspicare che i lavori siano brevi: in un anno e sette mesi i costituenti (che erano 556: ma la Commissione per la costituzione, che materialmente scrisse il testo base per la discussione, era composta di soli 75 membri, e impiegò appena sei mesi a svolgere il suo lavoro) partorirono un’intera costituzione che serviva a inventare una repubblica di sana pianta. Per definire i LEP, in teoria, di tempo dovrebbe bastarne assai meno. Il realismo, tuttavia, ci spinge a qualche pessimismo in più.

Al di là dei tempi previsti o prevedibili (si auspica un anno, ma vedremo), ci sono altri aspetti che colpiscono, nella composizione del comitato. Il primo è la suddivisione professionale. Non solo la forte presenza, ma addirittura la dominanza praticamente monopolistica di giuristi a vario titolo: come se fosse solo una questione di norme, e di come scriverle. Manca quasi completamente, non me ne vogliano i colleghi, il mondo reale: tre o quattro economisti, un demografo e un matematico decisamente non lo esauriscono. E gli esperti di sanità, di scuola, di lavoro, di formazione professionale, d’arte, di cultura, gli intellettuali, le scienze umane (ma anche le discipline scientifiche hard), l’impresa, l’agricoltura, l’artigianato, il commercio, gli esperti di squilibri territoriali, insomma, tutto quello di cui l’autonomia si dovrebbe occupare, dove sono? Vero che si tratta di definire i livelli essenziali di prestazione: ma vero anche che dovrebbero riferirsi a un contenuto su cui bisognerebbe ragionare nel concreto.

L’altra cosa che balza all’occhio del lettore appena avvertito, è l’equilibrio (o meglio, il totale squilibrio) di genere. Di 61 membri, solo 7 sono donne (più una coordinatrice). Il dieci per cento o poco più. Se si pensa che nella commissione dei 75 le donne erano 5, non pare si siano fatti passi avanti significativi dai tempi della Costituente: la percentuale è quasi uguale (vero, nell’assemblea lo squilibrio era maggiore: 21 donne su 556).

Perché ci sembra, questa, una notizia, e non buona? In altri tempi, dopo tutto, sarebbe passata sotto silenzio. Ecco, direi proprio per questo: perché sono cambiati i tempi. Ma la politica non se ne rende conto. E il non accorgersi del problema (anzi, il non capire che è un problema) mostra un ritardo culturale sostanziale.

C’è una miopia profonda dietro al mancato rispetto della parità di genere: che già in un paese appena (più) civile provocherebbe un’indignata reazione. E non per la necessità di tutelare una qualche forma di quote che mi rifiuto di chiamare ancora rosa (manco le femmine si vestissero ancora di rosa e i maschi d’azzurro, superata l’età del fiocco da appendere fuori casa per segnalare la nuova nascita – e forse dovremmo aggiornarci anche su quello). Non è solo un segnale (l’ennesimo, certo) di mancata presa in considerazione, se non di disprezzo, dell’altra metà del mondo. E, no, non è un problema di forma, ma di contenuto. Non (solo) di metodo, ma di merito. La composizione di genere del comitato è clamorosamente sbagliata nella sostanza, oltre a essere antistorica e segnalare un incredibile scollamento dalla realtà del ceto politico. È sbagliata nel merito dell’autonomia, proprio: per capirne le urgenze, le gerarchie, la complessità. Scuola, infanzia, servizi sociali, salute, per citarne solo alcuni: possiamo immaginare questi problemi, oggi, senza comprenderne la dimensione di genere, familiare, di suddivisione dei ruoli? Possiamo davvero immaginare di definire i requisiti di base, e la persistenza degli squilibri, senza un punto di vista femminile?

Solo giuristi maschi, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 28 marzo 2023, editoriale p.1