Dante, Maometto e la Divina Commedia. La strada per l’inferno (dantesco) è lastricata di buone intenzioni

Quando di una vicenda si appropria la politica per alimentare una presunta guerra culturale, la notizia vera (peraltro, datata: risalirebbe a qualche mese fa) sparisce dietro le polemiche e le strumentalizzazioni. Per cui prendiamola per come ci è pervenuta. Mi riferisco all’esonero di due studenti musulmani di una scuola media di Treviso dallo studio della Divina Commedia, per rispetto della loro fede religiosa, dato che Dante colloca il profeta dell’islam all’inferno.

Nei resoconti stampa si parla dell’iniziativa di un o una insegnante, di una spiegazione data alle famiglie su cosa i figli avrebbero studiato (che quindi, richieste di un parere, hanno preferito l’esonero), o di una richiesta delle famiglie stesse – e le versioni diverse già nascondono differenti opinioni politiche e opzioni ideologiche.

Due considerazioni sul fatto in sé, e un ragionamento sulle sue conseguenze. Il fatto. Se è avvenuto come descritto, naturalmente è – prima che grave – sciocco e superficiale. Perché in generale non si chiede un parere alle famiglie su ciò che i figli debbono o non debbono studiare: il programma è lì per tutti, e guai se la scuola comincia ad aprire una trattativa sui contenuti. E perché non se ne può più – quando si tratta di pluralismo religioso – di fare le cose male a fin di bene: come noto, la strada dell’inferno, anche quello dantesco, è lastricata di buone intenzioni. D’altro canto, una qualunque famiglia, di qualsiasi religione (anche cattolica), magari di livello culturale modesto, posta di fronte all’alternativa se studiare un autore di cui non sa nulla ma che parla male della fede in cui crede, oppure no, sceglierebbe la seconda opzione. Anche se – se è vero che l’alternativa è stata Boccaccio – viene da sorridere pensando ai risvolti moralmente più problematici e per l’appunto boccacceschi della vicenda. Dettaglio ironico ulteriore: lo studio di Dante sarebbe potuto servire per aprire alla comprensione della cultura islamica. Uno dei primi libri che ho preso in mano, quando ho cominciato a occuparmi di islam, per cercare di leggere il mondo dal punto di vista altrui e ragionare sulle reciproche influenze culturali, insieme a “Storici arabi delle Crociate”, pubblicato da un grande orientalista italiano, Francesco Gabrieli, fu proprio “L’escatologia islamica nella Divina Commedia” di Miguel Asín Palacios, in una preziosa edizione in due volumi (quasi settecento pagine di ponderosa erudizione) che dava conto anche della polemica seguita alla pubblicazione del libro: non sorprendente, dato che l’autore intendeva dimostrare come il poema dantesco fosse fortemente ispirato a fonti islamiche, e in particolare all’ascensione miracolosa di Muhammad al cielo, che i musulmani celebrano in una ricorrenza ad essa dedicata. Tesi rafforzata da ulteriori successive scoperte letterarie e traduzioni. Le vie della cultura sono infinite, e spesso sorprendenti.

Le conseguenze di queste polemiche sono tuttavia sociali e culturali. Perché innescano un riflesso condizionato di polemiche su una ipotetica ‘cancel culture’, e soprattutto di accuse ai musulmani. Vale la pena notare, allora, che per lo più non sono stati loro a fare richieste di rifiuto o cancellazione: che si trattasse del presepe o della recita di Natale, in cui i bimbi musulmani, pur di partecipare, farebbero volentieri anche la parte di Gesù (venerato profeta dell’islam, secondo di importanza solo a Muhammad) o di Maria (cui è dedicata una delle sure più importanti del Corano). Peraltro molti minori musulmani sono iscritti a scuole cattoliche per scelta proprio dei genitori, che – come molti italiani, più o meno credenti – preferiscono a torto o a ragione un ambiente educativo religioso a uno laico. Queste iniziative sono state sempre proposte da insegnanti di buone intenzioni e discutibili valutazioni, senza consultare i musulmani, al loro posto e a loro insaputa. Ma grazie al tam tam mediatico e alla strumentalizzazione politica si inscrivono nella memoria di ciascuno come inaccettabili pretese dei musulmani che non vogliono integrarsi: e allora, che se ne tornassero a casa loro… È questo il peggior servizio che si potrebbe fare ai musulmani, e il maggior danno che iniziative irriflesse come queste producono. Sarebbe il caso che anche gli insegnanti ci ragionassero sopra, dato che finiscono per ottenere il risultato opposto a quello auspicato.

Il caso Dante. Chi pensa di aiutare l’islam, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 28 maggio 2024, editoriale, pp, 1-2