Accordi con la Tunisia e politiche migratorie: cosa (non) cambia

Dell’accordo sui migranti tra Italia e Tunisia, il tratto positivo principale – e quello che infatti viene proposto all’opinione pubblica con più convinzione dai rispettivi governi – è che ci sia stato. Per il resto, cambierà poco o nulla. Il che, se non altro, evita che si cambi in peggio. Ma non è davvero un risultato per cui sbracciarsi dall’entusiasmo.

Bene che l’accordo ci sia stato. Bene che abbia coinvolto l’Unione Europea ai suoi massimi livelli. Simbolicamente, per l’Italia, significa l’ingresso ufficiale nel club che conta, per così dire, e la fine di quella che qualcuno, all’opposizione, considera tuttora la presunta impresentabilità della destra. Questa impresentabilità non c’è o è stata ampiamente superata a pieni voti, e non possiamo che gioirne: le due occasioni recenti di contatto tra Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni (la visita in occasione dell’alluvione in Emilia-Romagna e la presenza congiunta in Tunisia) sono lì a testimoniarlo. Ma, per il resto, quanto avvenuto ricorda un po’ la perfida battuta di Kissinger rivolta ai governanti italiani quando si recavano negli Stati Uniti: per i quali sembrava che il risultato fosse ottenuto al momento della discesa della scaletta dell’aereo.

Bene, benissimo, infatti, la cooperazione economica. Ma assai ridotta nell’entità e tragicamente tardiva. La Tunisia è stata il paese che ha fatto da innesco per tutte le primavere arabe, portando all’abbattimento del regime di Ben Ali, dopo vent’anni di potere assoluto sotto la protezione dell’occidente. Ed è stata uno straordinario esempio di successo di transizione democratica, ottenuta in nome di quelli che l’Europa considera i suoi principi fondativi: fu approvata una nuova costituzione, alle elezioni vinsero gli islamisti, ma poi ci furono nuove elezioni, e persero, senza che nessuno abbia messo in questione la legittimità del processo elettorale. Ma la colpa storica dell’Europa – una macchia da cui è difficile ripulirsi – è stata di non aiutarla, questa difficile transizione (si doveva promuovere allora, un serio piano Marshall europeo). Con il risultato che poi è venuta la crisi economica, il terrorismo dell’Isis, il crollo del turismo – completatosi nel periodo della pandemia – e dunque dell’economia: e oggi trattiamo con un autocrate antidemocratico che, per mantenere il consenso interno, ha fatto degli immigrati il proprio capro espiatorio (non diversamente dai partiti che hanno vinto le elezioni in Italia, per certi versi, ma con la radicale differenza che qui – nonostante le grida di qualcuno – la democrazia c’è ancora, e i risultati elettorali ne sono precisamente il frutto).

Bene, dunque, dicevamo, l’aiuto economico, bene gli accordi sull’energia e per l’interscambio di studenti nell’ambito dei programmi Erasmus (speriamo che poi le nostre ambasciate e consolati non continuino nella prassi di rendere il loro ingresso in Italia una corsa a ostacoli, con il risultato che ne beneficiano solo altri paesi europei). Male invece subordinare gli aiuti alle ricette, già fallimentari altrove, del Fondo Monetario Internazionale. E male, malissimo, chiudere tutt’e due gli occhi e anche le orecchie e la bocca, e non pronunciare parola sul tipo di regime che si sta incoraggiando. In Tunisia la democrazia è sospesa dal 2021, il governo è stato dimissionato, il parlamento è stato sciolto, l’indipendenza della magistratura è stata sospesa (abolendo l’equivalente del Consiglio Superiore della Magistratura), è impedita l’attività dei partiti (alle ultime elezioni hanno potuto partecipare solo dei candidati senza sigle, con il risultato che la partecipazione al voto si è ridotta a meno di un decimo del corpo elettorale), e l’espressione di qualsiasi forma di dissenso è vietata. C’è solo l’esecutivo. Il presidente Kaïs Saïed, in sostanza. Che pure gode di consenso popolare – la sua proposta di nuova costituzione, peraltro più islamista della precedente (ma su questo sembra che nessuno abbia niente da dire), ha ottenuto una maggioranza plebiscitaria, seppure con solo un terzo di elettori recatisi alle urne – grazie alla condanna morale delle cricche corrotte e del familismo e famelicismo dei partiti.

Infine: male per le politiche migratorie, che avrebbero dovuto essere la parte principale degli accordi. Si parla come sempre della fine del processo e mai dell’inizio. Si chiede la collaborazione della Tunisia per il controllo delle partenze irregolari e per i rimpatri (collaborazione già autorevolmente smentita, peraltro) ma non si offre nulla in termini di flussi di ingresso regolari, di cui pure abbiamo urgentissimo bisogno e che potremmo contribuire a formare, con reciproco vantaggio. Con il risultato paradossale che in assenza di lavoratori regolari, non potremo lamentarci di avere, da quel paese, quasi solo irregolari, e tra essi, devianti.

L’esternalizzazione delle frontiere ha già fallito – ed è anzi diventata un’arma di migrazione di massa in mano ai paesi coinvolti – quando è stata applicata in Turchia su richiesta della Germania. Non c’è una ragione al mondo per cui debba funzionare in Tunisia su richiesta dell’Italia. Il che mostra, ancora una volta, quanto il dibattito politico sia indietro rispetto alla realtà.

 

I migranti e il nodo Tunisia. Cosa (non) cambia, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 13 giugno 2023, editoriale, p.1