Chiusura scuole: una società che ha dimenticato i giovani
Nessuno ha la verità in mano: né quella scientifica né quella politica, ammesso e non concesso che una cosa del genere possa esistere (anche quella scientifica, del resto, non si pretende tale: siamo noi che la interpretiamo così). Possiamo solo valutare le decisioni: nelle loro conseguenze, ma anche nelle loro premesse. E sulla base di queste ragionare ad alta voce sulla decisione presa dalla Regione Veneto di tenere chiuse le scuole superiori fino al 31 gennaio (e poi chissà…).
Intanto, con un minimo di onestà intellettuale: lo si capiva da dicembre, che non avrebbe riaperto. Troppe forze tiravano in quella direzione. Parte degli insegnanti (una parte minoritaria, va detto: e dispiace che sia quella che fa notizia), timorosi delle conseguenze sulla (loro) salute: ma ci domandiamo cosa dovrebbe dire, allora, il personale ospedaliero, anch’esso giustamente obbligato a tenere in funzione un servizio pubblico essenziale, peraltro in prima linea, correndo naturalmente dei rischi. Parte delle famiglie, preoccupate della salute dei loro figli: ma, forse, solo di quella fisica, e proprio di nient’altro. Buona parte della politica, consapevole del fallimento di fronte all’opinione pubblica cui sarebbe andata incontro: perché i contagi sarebbero aumentati, anche se non per colpa della scuola in sé, che la sua parte l’ha pur fatta, ma per il contorno, a partire dal sistema dei trasporti, che ci avrebbe comunque mostrato fotografie di treni e bus sovraffollati – perché non sono stati implementati, o non abbastanza, i piani straordinari che erano necessari in tempi straordinari. Tutti questi soggetti hanno spinto perché si trovasse la solita soluzione semplice a un problema complesso: il rinvio, nella speranza che le cose in futuro vadano meglio. Ma senza agire con sufficiente forza (non c’è nemmeno protesta, in giro) perché questo accada. E così, ancora una volta, la chiusura della scuola è diventata un ottimo alibi per inefficienze originate altrove.
Questa chiusura fa riflettere anche sui fondamentali che tengono in piedi la società: se ci riescono ancora. La diciamo in maniera semplice: che apra la produzione ma sia chiusa la scuola, dà l’idea delle priorità che la società si è data – senza alcun dibattito e riflessione collettiva, semplicemente come un dato. Abbiamo sempre difeso le ragioni della produzione, più in generale dell’economia. Quello che fa riflettere è che, tenendo ferma la scuola, si dia l’idea che essa invece non produce niente. Ce ne accorgeremo, di quanto sia sbagliata questa percezione: ma c’è il rischio che quando avverrà sia già troppo tardi. Per la tenuta del patto sociale, innanzitutto: che, essenzialmente, impariamo proprio a scuola.
Un altro fondamentale riguarda il patto generazionale. La diciamo in maniera sgradevole ma necessaria: muoiono soprattutto anziani, si tengono chiusi soprattutto i giovani, ai quali si toglie di più che a qualsiasi altra fascia d’età – il centro delle loro occupazioni, in buona parte il senso della loro vita. Anche questa sottovalutazione va avanti dall’inizio di questa pandemia (e per la verità da prima: da quando ci si è accorti che gli anziani sono di più e votano di più, e quindi si fanno leggi a loro beneficio – quota 100 è solo un esempio): lo dimostra quanto male stiamo decidendo di spendere i fondi di quello che continuiamo a chiamare “Recovery fund”, e che è nato invece come un “Next generation EU”, proiettato sul futuro anziché sul passato – noi lo stiamo usando per tamponare le falle, caricando di debito ulteriore le generazione successive, ma senza un progetto che le riguardi e le coinvolga. Anche di questo rischiamo di accorgerci quando sarà davvero troppo tardi. Le diseguaglianze generazionali, già in aumento drammatico con le maggiori difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro e le minori tutele e garanzie, rischiano con la chiusura delle scuole di togliere ai giovani l’unico punto su cui erano in vantaggio rispetto ai loro genitori: il maggiore livello di istruzione.
Se poi dovesse davvero accadere che gli impianti sciistici apriranno prima delle scuole superiori, avremo dato, come generazioni più anziane, il colpo di grazia alla nostra credibilità. Mostrando ai giovani che idea abbiamo di ciò che conta davvero: e quanto loro non siano tra le nostre priorità.
Abbiamo perso credibilità, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 6 gennaio 2021, editoriale, p. 1