Terremoto: quando l'obiettivo è il bene comune
E’ il Veneto della solidarietà che si è mosso, con grande prontezza, fin dalle prime ore della mattinata di ieri, per portare aiuti alle popolazioni terremotate, attraverso la protezione civile, i vigili del fuoco, le unità cinofile, i carabinieri, medici e infermieri, e altri volontari. E’ il Veneto dell’apertura – non solo dei cuori – quello che da subito ha dato disponibilità ad ospitare nelle sue strutture sanitarie i feriti a causa del sisma, e ad aiutarli nel concreto, rapidamente. Per una volta, riconosciuto e ringraziato come tale anche dal governo centrale.
Credo che in molti abbiamo provato – nel dolore per le sofferenze altrui – un moto di gioia, di soddisfazione, e anche di gratitudine per chi ci governa (non facile a provarsi in circostanze ordinarie…), nel vedere la reazione immediata, anche istituzionale, voluta dal presidente Zaia, alla disgrazia che ha colpito altri nostri concittadini. Perché questo è un tesoro che questa terra ha a disposizione, e qualche volta sembra passare in secondo piano, o viene offuscato da situazioni, occasioni, parole che vanno nella direzione opposta, quella della chiusura di menti e cuori anziché quella dell’apertura degli uni e delle altre. Questa forma di condivisione spontanea e immediata, ma anche efficiente, organizzata, professionale, ci riconcilia con le istanze profonde del nostro essere individui sociali: che, come ci dicono studi sempre più approfonditi, ha fatto di quella umana una specie dominante anche perché capace di altruismo, per interesse e convenienza, ma anche per il piacere che trasmette e le energie che mette in moto. Tanto che ci domandiamo perché, in altre occasioni, queste energie vengano immobilizzate, non spese, rinchiuse in un timore forse facile da comprendere ma difficile da accettare, nella prospettiva appena descritta.
E’ bellissimo, invece, e da’ gioia, poter essere fieri di sé, orgogliosi dei propri concittadini, delle proprie istituzioni, e anche della propria storia e della propria memoria. Questa è terra abituata alle disgrazie: a sopportarle, ma anche a rimboccarsi le maniche, con solidarietà interna spontanea, silenziosa, scevra da vittimismi, per risolvere i propri problemi. Lo si è visto anche con la violenta alluvione del 2010, e in tante altre occasioni. E con il tempo ha imparato a farlo non solo con determinazione e forza di volontà, ma anche con professionalità. E’ la terra, dopo tutto, degli Alpini, con tutto quello che simboleggiano in termini di dedizione, di costanza, ma anche di serietà e di capacità efficiente, di valori condivisi radicati e duraturi, e di tanto volontariato professionale, che agisce in Italia e fuori da essa (quello di chi si occupa di disabili o anziani, quello che tesse relazioni nel mondo delle parrocchie e delle sagre di paese, quello dei medici del Cuamm o degli ordini missionari, e tantissimi altri).
C’è abitudine, in questa capacità di affrontare la disgrazia. Forse anche un riflesso condizionato di fatalismo, di accettazione della propria vulnerabilità, senza lamentarsi. Ma, appunto, con la capacità di rispondere: a mani nude sempre, con i mezzi a disposizione quando si può, quando si è imparato ad organizzarli, e quando si riesce a metterli a disposizione anche di altri, come accaduto in questa occasione.
La società ha bisogno di queste energie e di questi slanci. E di tenerli in circolazione efficiente. Manifestando anche la dose necessaria di dedizione, consentendo di esprimersi anche al piccolo eroismo quotidiano che a fasi alterne alberga in ciascuno di noi. Altrimenti si adagia, si chiude in se stessa, nel proprio impaurito o mediocre tran tran, che anch’esso ci appartiene. Ecco, le occasioni di solidarietà praticata e condivisa sono anche questo: un modo per far entrare il fuori dentro di noi, accettando che ci cambi. E’ nella condivisione del peso delle disgrazie che ci riscopriamo umani, uguali, o più simili di quello che crediamo, al di là anche delle differenze sociali, politiche, culturali, religiose, di colore della pelle. Vedere le persone darsi volontarie per dare una mano – sì, proprio quella mano d’opera che è segno caratterizzante dell’operosità di queste terre – vedere tra essi i volontari della protezione civile e il mondo delle parrocchie, gli scout e gli immigrati, e strutture di tutti come sono quelle pubbliche, dagli ospedali ai mezzi di protezione civile, è precisamente uno di quei segnali che ci riconcilia con le nostre possibilità, volontà e desiderio di costruire davvero bene comune. E ci fa ben sperare, nonostante tutto.
Il Nordest del bene comune, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 25 agosto 2016, editoriale, p.1