Scuola mamma, genitori talvolta infantili. Discorso sui metodi (educativi)

Il caso della scuola materna Zanella di San Gottardo, nel vicentino, è un po’ lo specchio del ruolo della scuola (anche primaria e secondaria) nella società italiana oggi.
La vicenda, in sintesi: la coordinatrice della scuola è accusata di usare metodi autoritari e violenti, da parte delle colleghe, e viene sospesa dall’insegnamento. Informati dalle maestre e, dopo le indagini, dai carabinieri, che hanno registrato numerosi video, i genitori si dividono tra chi è d’accordo con la maestra e chi no.
Non ci schieriamo tra innocentisti e colpevolisti: non ne abbiamo titolo e non conosciamo a sufficienza il merito della vicenda. E sappiamo bene che troppe variabili soggettive sono in gioco, tra gli estremi del sadismo della insegnante e quello del complotto delle colleghe o del vittimismo dei genitori: tutte possibilità di cui esistono precedenti.  Troppe poche le immagini, troppo brevi i frammenti divulgati, troppo ambigue e interpretabili diversamente a seconda del contesto, per ergersi a giudici senza avere sufficienti elementi di giudizio. Possiamo tuttavia cogliere da questa vicenda alcuni segnali apparentemente minori, e di ordine molto differente rispetto al nucleo della vicenda, e tuttavia significativi.
La prima è sul ruolo stesso della scuola. Che sempre più spesso diventa non solo specchio della società, ma involontaria supplenza delle sue difficoltà. Su di essa si scaricano sempre più spesso tensioni che stanno altrove, e che il personale non è sempre preparato a recepire. Le difficoltà di relazione aumentano, e quelle educative anche. I genitori spesso non riescono a risolvere le difficoltà di socializzazione che incontrano e i problemi comportamentali (propri e dei propri figli) che si manifestano, affidandoli in gran parte alla scuola. Il desiderio di metodi anche un po’ autoritari, espresso da diversi genitori, si spiega anche così: loro sono incapaci di esercitare la propria autorità, o meglio di mostrare la propria autorevolezza, ai figli, e sperano quindi che tale compito lo assolvano gli/le insegnanti, in modo che poi anche in famiglia i figli “imparino a comportarsi bene”, assolvendo i genitori dalle proprie responsabilità. Ma anche il rifiuto espresso da altri ha ragioni per certi versi specularmente simili: si vorrebbe che a scuola tutto andasse bene, che non ci fossero conflitti, che si risolvessero comunque sempre pacificamente, che tutto insomma filasse sempre liscio, mentre sappiamo che nella vita reale, familiare come professionale, non è affatto così – vorremmo insomma che la scuola fosse una specie di fiaba perennemente a lieto fine, mentre non è che un ingranaggio tra i tanti, per quanto importante, della società, che porta in sé le medesime difficoltà e contraddizioni.
Le reazioni dei genitori (in generale, non solo di quelli direttamente coinvolti) hanno anche un altro risvolto. Quello dell’indignazione compulsiva da social network o da commento sotto la notizia del quotidiano: fatta troppo spesso di opinioni sempre incredibilmente nette e definitive, di certezze assolute, di giudizi definitivi, di critiche categoriche all’opinione avversa (che diviene avversaria), non di rado di insulti e sarcasmi grevi. Una forma di infantilismo, che mostra quanto gli adulti siano essi stessi, spesso, bambini non cresciuti e malamente educati: davvero un volto poco incoraggiante per chi poi pretende di giudicare a propria volta la scuola, e naturalmente di educare le giovani generazioni non possedendo alcuni fondamentali di quella che dovremmo considerate una corretta educazione.
A questa logica, già fortemente presente nei social network, a cui ha dato libera stura anche grazie all’anonimato che consentono (un modo eccellente di tirare fuori il bambino che è in noi, nella maniera peggiore: dallo sberleffo alla pernacchia, dalla minaccia all’insulto) si presta anche la prassi, discutibile, cui sempre più spesso si adeguano le forze dell’ordine, divulgando immagini che, in fase di indagine, dovrebbero probabilmente rimanere tra le mani loro e dei magistrati inquirenti. Esse sono infatti un invito – non crediamo del tutto involontario e innocente – alla gogna mediatica, alla formazione di un giudizio popolare favorevole alle tesi degli inquirenti, e di fatto un uso improprio degli strumenti di indagine. Un po’ di cautela e di riserbo sarebbe un buon esempio anche da parte della magistratura e delle forze dell’ordine, che sono anch’esse, a modo loro, delle agenzie educative.
Scuola mamma e genitori infanti, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 18 marzo 2016, editoriale, p.1