Metafore della contemporaneità: navigare

Quella del navigare è metafora insolitamente presente tra di noi, che per la maggior parte siamo saldamente terrestri e sedentarizzati: quasi come una nostalgia, ma anche un diverso e utile punto di vista. C’è una storia, dietro a tutto questo: ma anche qualche insegnamento che ci viene dalla storia e che ci torna utile nel nostro mobile presente.
La storia è quella dell’umanità, che ha preso slancio grazie al far vela verso l’altrove e il non ancora conosciuto, e nel nostro specifico quella della Serenissima, della Repubblica di Venezia, marinara per definizione: città nata galleggiante, che ha fatto del trafficare i mari la sua forza, la sua ricchezza, la sua potenza e la sua cultura. Una proiezione sul mondo: di conquista del mondo ma anche di capacità di impararne e acquisirne il meglio, senza pensarsi sempre migliori (o essendolo precisamente perché si faceva questo: si è migliori quando e perché si usa al meglio il meglio altrui, come ormai si insegna anche nelle scuole di management e sa bene ogni bravo imprenditore e team leader).
Ma il navigare insegna anche a fare i conti con se stessi: stare da soli, di notte, persi in vastità di fronte alle quali siamo e ci sentiamo infinitesimali (e com’era piccola Venezia di fronte agli oceani, ma anche a imperi tanto più vasti e solidamente terrestri! – può ricordarlo con orgoglio la nostra piccola impresa…), a cercare di calcolare con l’aiuto delle stelle la nostra posizione e la nostra direzione. E con il rischio sempre incombente del naufragio: che deriva anch’esso da navis, e significa che la nave si è spezzata (a seguito di quelle che non a caso, anche quando sono economiche e finanziarie, chiamiamo dopo tutto tempeste). Qualcosa di molto simile alla condizione postmoderna in tempi di globalizzazione accentuata e accelerata…
Oggi navighiamo altro: internet (solo che è una rete, senza veri porti di partenza o di arrivo: si è sempre in mezzo, in un certo senso, eppure sempre a contatto), e diciamo che ci imbarchiamo tutte le volte che prendiamo un aereo, o ci imbarchiamo – appunto – in una nuova impresa. Non è un caso che la più potente metafora recente della nostra condizione sia stata quella inventata dall’appena scomparso Zygmunt Bauman: quella della società e della modernità liquida. Siamo e saremo sempre più naviganti pur andando sempre meno per mare. E sempre più, nonostante i progressi della tecnologia, ci tocca navigare a vista, in cattive acque, tra gli scogli – tutte metafore che non hanno perso nulla della loro potenza esplicativa, e semmai ne hanno guadagnata ulteriormente. Anche quando siamo o ci crediamo ‘navigati’ a sufficienza…
Al contempo, c’è un ritorno molto concreto della dimensione liquida. Cresce, torna a crescere, l’importanza e la strategicità dei porti, intorno ai quali e per il possesso e la crescita dei quali si combattono guerre e competizioni globali senza esclusione di colpi. Si recuperano (o si dovrebbe farlo) vie d’acqua fluviali, anche come canale (parola che ci dice che possono essere artificiali, opera dell’uomo e della tecnologia) di comunicazione e di trasporto di merci e di persone (di cui l’implementazione delle crociere è un altro segnale potente). Tornano persino i pirati, e gli arrembaggi, in varie aree del mondo, e la pirateria è essa stessa tornata ad essere una metafora del nostro presente, nella sua parte nascosta, oscura, illegale. Tornano, infine, i morti in mare, e i cadaveri spiaggiati…
E’ un mondo liquido, sì: in cui siamo coinvolti anche quando rimaniamo a terra. Di cui speriamo sia sempre un felice andare in porto, e spesso lo è; ma che resta, quando non va bene, un porto delle nebbie, a rischio di andare a incagliarsi, di sfracellarsi tra gli scogli, di naufragare appunto. Perché così è la vita, e non è mai cambiata.
Siamo tutti naviganti. E sempre più ci tocca farlo a vista, in “Corriere della sera – Corriere Imprese Nordest”, 16 gennaio 2017, p.3, rubrica “Le parole del Nordest”