Diversamente credenti. La religione al tempo della pandemia

Non sarà solo questa Pasqua, a cambiare: con le chiese aperte ma vuote, i sacerdoti a celebrare online, il popolo di Dio disperso nelle proprie case, ciascuno solo alla sua maniera. Come per tante altre cose, Covid-19 è destinato a segnare una cesura anche nel modo di essere religiosi, e quindi anche nelle istituzioni religiose, che avrà effetti anche in futuro.
Anche se non sappiamo quanto durerà il nostro isolamento, sappiamo già che la ripresa sarà lenta e graduale, il nostro avvicinarci cauto, persino il nostro entusiasmo e la nostra gioia, in qualche modo saranno moderati, anche senza bisogno di un intervento esterno, di un divieto. Tutto ciò avrà delle implicazioni enormi sul comportamento religioso.
A molti di noi sarà già successo di vivere le esperienze più forti – la malattia, il dolore, la morte dei propri cari – senza riti religiosi di accompagnamento, ma anche senza quei rituali sociali che, addobbati o meno di simbolica religiosa, fanno meno grevi queste esperienze, più leggero, perché con-diviso, il loro peso.
A molti di più – forse a tutti, in qualche forma – sarà capitato di interrogarsi sulle cose ultime (il giudizio sulla propria vita, il senso di colpa per ciò che non si è fatto o gli errori commessi, l’abbandono, l’interrogativo sul senso della morte e sul dopo) da soli.
In generale, ci saremo accorti – se ne saranno accorti anche i praticanti – che del rituale si può fare a meno, che nonostante tutto la vita scorre lo stesso, con identica inesorabilità.
Qualche pecora, privata di pastore, avrà smarrito la strada, perso la confidenza. Altri, invece, saranno in ricerca di qualcosa che prima (nel rumore del tempo troppo pieno) non mancava.
Non vuol dire quindi che diverremo meno credenti o miscredenti. Magari lo saremo di più. Ma in altro modo. Diversamente religiosi. Anche perché certi comportamenti così tipici del rituale religioso (in ambito cattolico: scambiarsi il segno della pace, dare – e ricevere – la comunione, ma anche solo celebrare vicini, cantare uniti) saranno visti con sospetto, probabilmente bandìti, in ogni caso cambieranno di significato se vissuti con guanti e mascherina.
E’ interessante quanto è successo al principale soggetto religioso del nostro paese, la chiesa cattolica. Di fronte a un inedito richiamo a una responsabilità impensabile – quella di non esistere più come soggetto collettivo, di non riunirsi – così innaturale per un soggetto che si definisce come assemblea (questo il significato di ecclesia), c’è stata una reazione inizialmente passiva, debole, stordita. Ha subìto, ma senza aver capito immediatamente cosa stava succedendo. Poi, come un pugile che si riprende da un colpo particolarmente duro, un po’ alla volta, ha ricominciato a connettere, a interrogarsi, a reagire. Chi per vocazione e mestiere si occupa degli ultimi, dei sofferenti, degli emarginati (senza fissa dimora, immigrati meno integrati, ma anche affamati, oggi tornati d’attualità) si è organizzato subito (Caritas, Sant’Egidio, volontari locali), adeguandosi alla nuova situazione e ai nuovi bisogni. I presidi territoriali (parroci, catechisti, animatori) con più difficoltà, e a macchia di leopardo, con tanti luoghi in cui si è fatto poco o nulla, hanno cominciato inventarsi nuovi inediti servizi: messe online, confessioni telefoniche, visite virtuali ai malati e alle famiglie, gruppi whatsapp di famiglie, condivisione della Parola via skype, catechesi su zoom e altre piattaforme digitali, ostensione dell’eucarestia su uno schermo. Niente, tuttavia, in grado di ripristinare il senso di comunità del passato: soluzioni emergenziali, anche qui.
Il Papa ha fatto due gesti spettacolari, significativamente individuali: la passeggiata per le vie di Roma, simbolica immersione nella realtà di tutti, e la preghiera solitaria in San Pietro, potentissima immagine di resistenza al maligno che resterà nell’iconografia di questo periodo storico. Con ciò ha imposto la sua forza simbolica. Ma anche scoperto e accettato la sua fragilità e debolezza di creatura come tutte le altre: come individuo e come chiesa.
Tutto ciò avrà delle conseguenze che dureranno nel tempo, per le religioni. Meno pratica più raccoglimento, meno esteriorità più approfondimento, probabilmente. Progressiva spiritualizzazione dell’appartenenza religiosa. Forse anche – come sempre accade tra i mistici – un alleggerirsi dei confini tra religioni, e tra religiosi dichiarati e non. E un accentuarsi dell’idea che il compito delle religioni sia fornire o rafforzare le risorse spirituali del mondo, non aumentare il potere o la visibilità dell’una o dell’altra. Man mano che ci si avvicina alla vetta della montagna, da qualunque parte si arrivi, ci si ritrova inevitabilmente più vicini.
Credenti in modo diverso, in “Corriere della sera – Corriere del Veneto”, 10 aprile 2020, editoriale, p. 1