Crescere: imprese e istituzioni di fronte alla sfida della trasformazione

Crescere significa “diventare più grande secondo il proprio naturale sviluppo”; “diventare adulto”; “aumentare di massa, volume, livello, forza, intensità, prezzo, e simili”; nonché “allevare, educare”.
Tutte quante queste definizioni si possono applicare al mondo dell’impresa, ma anche a quello delle istituzioni. Che stanno soffrendo – nel Nordest anche con proprie specificità – del problema contrario: il non crescere. Una condizione in un certo senso innaturale. Tutto è destinato a crescere, a diventare adulto. Non ci si può affezionare troppo al proprio sé, o all’immagine che si ha di sé: non si raggiunge mai una dimensione ottimale. Perché, nel frattempo, cambia l’ambiente in cui si è inseriti, e l’ottimalità finisce presto.
Le imprese hanno bisogno di crescere perché devono in ogni caso tras-formarsi, cambiare forma, seguendo il mercato, e quando ne sono capaci, precedendolo, o inventandolo. Perché questo è il loro naturale sviluppo. Il mondo e i mercati di oggi richiedono che si debba diventare adulti, spesso, assai in fretta: perdendo talvolta un poco in freschezza ed entusiasmo (che si possono tuttavia rigenerare: alcuni adulti sono capaci di rimanere giovani dentro…), ma guadagnando molto in esperienza e capacità di muoversi. Questo significa necessariamente, oggi più di ieri, aumentare di massa, di volume, di forza, perché questo le farà aumentare di valore e anche di resilienza, di capacità di rispondere alle crisi, avendo la massa critica, la solidità necessarie. Per fare questo però le imprese vanno allevate, educate, formate alla crescita: non avviene da sola, come in natura, e va quindi accompagnata cambiando la cultura d’impresa, aggiornandola, abituandola al cambiamento come fisiologia e non come patologia.
Si può crescere in molti modi: rafforzandosi, assorbendo altre imprese, creando alleanze strategiche, mettendosi in rete, federandosi, in qualche modo, per affrontare con maggiore solidità mercati nel frattempo diventare globali. Il che significa anche imparare a separare i destini dell’imprenditore da quelli dell’impresa, anziché identificarli totalmente, come pure è stato utile, e possibile, in altre stagioni e fasi di sviluppo del Nordest (quella che ne ha creato il mito, in definitiva).
E’ una sfida difficile, che molte imprese stanno affrontando con successo, e altre non riescono nemmeno a pensare. E’ ancora più difficile al di là delle imprese: nel mondo politico e istituzionale che dovrebbe creare per esse l’ambiente più favorevole, ad esempio. Crescere – nei diversi modi visti – serve alle società di servizi e alle multiutilities. Serve alle istituzioni e alle università. Serve ai comuni e alle regioni. Altro che il frazionismo estremo e l’indipendentismo prima di tutto culturale che certo modo di pensare il mondo e casa propria ha portato avanti per troppo tempo: si risponde meglio, non peggio, ai propri territori, ai propri mercati, avendo la forza per muoversi in direzioni diverse, e diminuendo gli ostacoli (per fare un esempio che più evidente non potrebbe essere: le mille autorità in cui sono frazionate le autostrade; ma potremmo citare anche i micro presidi ospedalieri e i piccoli tribunali che ci ostiniamo a difendere in quanto tali, per inerzia culturale, senza accorgerci che proprio il loro accorpamento e la loro riaggregazione potrebbe rispondere meglio alle specificità locali, offrendo servizi specializzati, ad esempio. Non è il tutto dappertutto ma in piccolo il modello necessariamente migliore da seguire. Lo è sempre meno).
Infine, diventare adulti significa avere la consapevolezza che si deve morire. Che per imprese e istituzioni può significare semplicemente trasformarsi in qualcosa di diverso, reincarnarsi in altro modo, se si vuole. Non un fallimento, ma una nuova vita. Crescere significa anche questo.
Il non-crescere è una condizione quasi innaturale. Impresa e imprenditore, i destini si possono separare, in “Corriere Imprese Nordest”, rubrica “Le parole del Nordest” (crescere), 14 marzo 2016, p. 5